Volevo raccontarvi perché e per chi ho scritto questo libro.
Se volete la descrizione tecnica,
andate a leggervi la scheda qui. Non è la scheda del libro quella
che state per leggere, quanto piuttosto la descrizione di come è
nato e di cosa mi ha mossa a metterlo nero su bianco.
Ero già stata a Gaza otto mesi, e mi
trovavo in Italia per l'estate. Già da un po' avevo pensato di
scrivere un libro di testimonianze sui diversi modi di resistere e
lottare contro l'occupazione sionista, ma non avevo idea di come
muovermi. Era agosto e mi trovavo al campeggio antirazzista di Lecce,
a raccontare di Gaza, e m'hanno presentato un compagno che aiutava
all'organizzazione del campeggio, dicendo che faceva l'editore. Per
la verità in quel momento spillava birre, e credo che entrambi ne
avessimo già bevuta qualcuna, quando gli ho proposto l'idea. Diceva
che l'idea gli piaceva, ma non so se credesse davvero che l'avrei
portata a termine. Cioè, spesso queste idee di scrivere libri si
arenano a metà del lavoro, si perdono nel niente e finiscono in un
nulla di fatto. Un conto è qualche articolo qui e li, un altro è un
libro. Penso che nemmeno io ci credessi davvero, non sapevo se avrei
avuto la costanza di portarlo a termine. Però l'idea c'era, e valeva
la pena provare. Dal momento che a fine novembre dovreste trovare il
libro in libreria, deve aver funzionato.
L'idea è questa.
Volevo intervistare palestinesi che
resistono all'occupazione sionista e raccontarne la storia. Volevo
far si che emergesse la loro vita, la loro energia, il loro coraggio,
e soprattutto la loro determinazione. Volevo che dal libro si
respirasse il fatto che questa gente non ha ancora mollato la lotta
dopo più di 65 anni. Non che mi illuda che tutti i palestinesi siano
così caparbi e combattivi, ma mi sembra affascinante dare spazio a
quelli che lo sono, perché è al loro fianco che mi schiero. Eppoi,
volevo che trasparisse la loro unità. Nel libro sono presenti
persone di diversa estrazione sociale, con storie e idee molto
diverse, proponendo una narrazione corale a più voci. Volevo che
fosse chiaro che chi scrive blog, chi porta avanti la lotta BDS, chi
continua a coltivare le sue terre nonostante gli attacchi sionisti,
chi si impegna nella lotta armata, e tutti gli altri, lo fanno per il
medesimo scopo: libertà e giustizia. Si chiama anche dignità, è la
stessa cosa di quell'umanità del “restiamo umani”.
Ed è qualcosa, vale la pena
ribadirlo, di completamente diverso dalla pratica, oggi troppo
diffusa, di trasformare la lotta di liberazione di un popolo in un
caso umanitario che abbia bisogno di finanziamenti ed aiuti in
denaro. I palestinesi che ho conosciuto io non chiedono in elemosina
gli avanzi dei nostri ricchi banchetti, chiedono di schierarci al
loro fianco in maniera concreta, di agire, di scendere per strada
nelle nostre città e paesi, perché l'occupazione finisca, perché
il sionismo finisca.
Il titolo del libro è "perchè amo questo popolo - storie di resistenza palestinese da Gaza" ed è edito da bepress.
Una delle interviste, per esempio, è
stata fatta a Taraji. Ho vissuto a casa sua diversi mesi (ma questo
nel libro non lo scrivo, perché è la sua storia che racconto, non
la mia). Quando l'ho conosciuta aveva appena finito di arrabbiarsi
con una compagna che le aveva offerto sostegno psicologico ed
economico: dal momento che suo marito si trovava nelle carceri
israeliane, era una donna sola con 5 figlie a carico che abitava a
poche centinaia di metri dal confine, sembrava quasi naturale
offrirglielo. Lei diceva che non voleva aiuti economici, voleva poter
raggiungere le sue terre per coltivarle. Non voleva sostegno
psicologico per le figlie che quasi ogni giorno sentivano spari dal
confine, voleva che facessimo il possibile per fare smettere quegli
spari. È un approccio diverso da quello del fornire “aiuti”,
magari condizionati, ed è un concetto che tutte le persone
intervistate ribadiscono con diverse parole.
Volevo anche che di questa gente
uscisse l'umanità, oltre che il lato politico: volevo che chi
leggeva potesse sentire persone vicine. Infatti questo libro non è
vero che parlo (solo) di Palestina. In questo libro scrivo di noi.
Perché sono convinta che, da tutti questi chilometri di distanza, il
popolo palestinese ha ancora molto da insegnarci. So che la loro
capacità di capire che la lotta è una, portata avanti in mille modi
diversi, ha qualche cosa da dire ai benpensanti che dall'alto dei
loro scanni si permettono di giudicare chi usa mezzi diversi dai
loro. E forse, la loro tenacia ha qualche cosa da dire anche a noi,
nel caldo delle nostre case, quando ci sentiamo buoni con qualche bla
bla di convenienza.
Non per nulla la dedica iniziale è
“a chi resiste, a chi lotta, a chi insorge”.
Eccola.
Non ti dedicherò questo libro, fratello.Non si dedicano i libri ai morti, perché i morti non ne possono trarre forza ne' coraggio o ispirazione.Per questo non ti dedicherò questo libro, fratello.
Lo dedicherò però a tutte e tutti coloro che hanno deciso di portare alto l'ideale che ti è stato violentemente strappato dalle mani:
A chi resiste.A chi lotta.A chi insorge.
perché, per quel che possono fare la cellulosa e l'inchiostro, o queste poche parole scompigliate, storie di gente non così lontana possano servire a chi resiste, lotta e insorge per attingere forza, o coraggio, o ispirazione.
...dimenticavo...
RispondiEliminase volete che venga a presentare il libro, un periodo possibile potrebbe essere tra febbraio e marzo.
Se interessat* scrivete all'indirizzo todessil@gmail.com
Grazie!
Come fare per acquistarlo???
RispondiEliminaCiao! Per averlo hai due possibilità: o vai in libreria e lo ordini, oppure aspetti febbraio/marzo che torno in Italia e faccio un giro a presentarlo.
RispondiEliminanuu troppo tardi, è un regalo di natale :) Provo a ordinarlo in una libreria a milano, temo tempi blblici!
RispondiEliminaLoovely blog you have
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