Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


mercoledì 22 gennaio 2014

terra "mamnua"

Dal momento che i bulldozer delle forze di occupazione sioniste hanno distrutto parte del campo di Khaled Qudaih, a Khuza'a (est di Khan Younis), lui e la sua famiglia sono andati a seminare di nuovo. I militari israeliani hanno risposto con circa mezz'ora di spari, e la minaccia di colpire direttamente Khaled se non si fosse allontanato. 


Khaled aveva seminato il grano poco meno di un mese fa. Stava crescendo, era verde e a maggio avrebbe dato frutto. Il 19 gennaio si era recato nelle sue terre, con la sua famiglia, per spruzzare il fertilizzante. Samiha, sua figlia dodicenne, avrebbe voluto avvicinarsi alla barriera di separazione, ma sapeva che era proibito: “mamnua” in arabo. Si avvicinava per quanto poteva, fino a dove stavano gli attivisti stranieri con le giacche gialle di segnalazione. Si avvicinava e, con la voce infantile di una dodicenne, con il fare un po' impacciato di chi avvicina per la prima volta degli stranieri, spiegava che quella terra a lei è proibita: "mi è proibito avvicinarmi più di così alla barriera. Di la ci sono gli israeliani e sparano. Quella terra li è proibita (mamnua). È la terra della mia famiglia ed è proibita. Qualche volta gli israeliani sparano anche quando siamo lontani dalla barriera, ma oggi è tranquillo. Te torni quando c'è da raccogliere il grano? Quando c'è la raccolta veniamo tutta la famiglia, c'è anche il nonno, gli zii... qualche giorno fa sono arrivati i bulldozer, e hanno distrutto questo pezzo di terra, avevamo seminato, ora è distrutto." Fa un certo effetto sentirlo raccontare da una bambina, sembra di sentire ancora nelle orecchie la sua giovane voce e quella parola orribile, “mamnua”, riferito alla terra della sua famiglia, “proibita”. 
In ogni caso, il 19 è stato spruzzato il fertilizzante e non ci sono state aggressioni sioniste. 

Khaled, però, non era del tutto soddisfatto. 
C'era quella terra dove lui aveva seminato, al limite del campo dal lato della barriera, che era stata distrutta dai bulldozer di occupazione. Anche quella era la sua terra. I bulldozer sionisti non avevano il diritto di impedirgli di coltivarla, di impedirgli di raccogliere i frutti: sarebbe tornato il giorno dopo per riprendersela. Non poteva essere “mamnua”, “proibita” quella terra, perché era la sua terra, perché è anche li che aveva seminato, perché quel grano serviva per il pane per la sua famiglia, perché gli steli e la crusca servono per nutrire le pecore che stanno nel suo cortile, e che fanno latte da bere e lana per scaldarsi. No, nemmeno il limite estremo del suo campo, a 50 metri dal confine, poteva essere terra “mamnua”. Allora Khaled ha promesso che il giorno dopo sarebbe tornato. Sarebbe tornato con le zappe, per spianare il terreno, e con il vomere e l'asino, per ararlo dopo aver seminato. Se non fosse stato sotto la minaccia sionista avrebbe fatto tutto con il trattore, ma qui no: in questa terra troppo vicina alla barriera di separazione, i sionisti non lo avrebbero lasciato usare un trattore. 

 Sia chiaro, il caso di Khaled non è un caso isolato. Anzi, si può quasi dire che sia fortunato, perché, nella maggior parte dei casi, non è possibile avvicinarsi alla barriera di separazione più di 300 metri (fonte: pchr). Questo non va ad attaccare esclusivamente la libertà di movimento dei palestinesi nella loro terra, ma anche il loro diritto a lavorare, e, ancor più grave, la loro autosufficienza alimentare: con la densità di popolazione tra le più alte al mondo e l'esplosione demografica in corso, la Striscia di Gaza diventa sempre più dipendente da aiuti esterni, incapace di far fronte ai suoi stessi bisogni. 

Khaled raggiunge la sua terra con la moglie, la sorella della moglie, e tre dei suoi figli. Tra di essi anche Wael, che non ha più di 10 anni. Alcuni attivisti stranieri lo accompagnano. Sul carretto tirato dall'asino porta i semi, le zappe e il vomere; lascia il carretto al bordo del campo più lontano dalla barriera, e porta tutto a mano. I sionisti non possono nemmeno sostenere di non riuscire a vedere cosa ci fosse sul carretto, e nulla, ne' l'asino ne' alcuno del materiale portato, poteva rappresentare una minaccia alla sicurezza di Israele o all'incolumità dei soldati delle forze di occupazione. Così, Khaled e i suoi figli, si mettono di buona lena a spianare il terreno con le zappe. Dopo circa 10 minuti arriva una jeep, dopo pochi secondi da quando si ferma i sionisti lanciano alcuni colpi di arma da fuoco, senza nessun avvertimento, senza che ci fosse alcuna provocazione verso i soldati. 
Khaled e i suoi figli, incluso Wael, non si fanno intimorire, e continuano a lavorare. La loro terra non può essere “mamnua” solo perché lo hanno deciso delle forze di occupazione razziste e ingiuste. Chi è più forte, dimmi, le forze di occupazione con tutte le loro armi e armature, o questi contadini armati di zappa? I figli più grandi continuano a spianare il terreno, Khaled tiene il vomere nella giusta posizione, mentre Wael guida l'asino. Serve molto tempo per arare il terreno con l'asino, perché non si può attaccare un aratro pesante, solo un piccolo vomere, e quindi bisogna andare avanti e indietro parecchie volte. Mentre i contadini palestinesi di Khuza'a continuano a lavorare, c'è movimento di diverse jeep di la della barriera. Ogni tanto continuano a sparare, giusto per ricordare che non se ne sono andati, e che quella terra è “mamnua”. Ma Khaled e la sua famiglia non sembrano avere intenzione di allontanarsi. 

Fino a che, da una jeep, scende un soldato. Rimane pochi minuti nascosto dietro ad un cumulo di terra creato apposta per nascondere le forze di occupazione, e poi esce allo scoperto, urlando, in un arabo con forte accento ebraico, che sarebbero dovuti andarsene perché altrimenti avrebbe sparato con l'intenzione di colpire. Se da un lato è bello pensare che la presenza degli internazionali abbia contribuito a far si che il soldato sparasse prima in aria, e che lo abbia scoraggiato dal colpire direttamente Khaled; dall'altro lato è frustrante rendersi conto che se questo accade è solo perché il mondo è fondamentalmente razzista, ed un testimone occidentale risulta più scomodo di un testimone palestinese. Potessero, questi contadini, avere la stessa voce di un europeo di fronte alle ingiustizie sioniste! Nel frattempo il soldato continua a sparare. Non solo colpi singoli, anche raffiche. All'inizio Khaled continua ad arare il terreno, poi deve desistere: ha famiglia, non può permettersi di rimanere ferito, deve poter continuare a lavorare. Allora, mezz'ora dopo i primi colpi di proiettile, gira l'asino, e si torna tutti dove era stato lasciato il carretto, in territorio più sicuro. Restano alcuni chicchi di grano, alcune sementi, in un terreno che non si è potuto arare, in una terra palestinese che una violenta forza occupante ha dichiarato “mamnua”.

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