Diario
della visita a un'amica.
Sadiya
abita in un villaggio che si trova tra le città di Amude, Til Tamer,
Haseke e Dirbesiye. L'ho conosciuta al corso (perwarde) di cui ho già
raccontato: ha quasi trent'anni, non è sposata. Esce raramente dal
suo villaggio, così sono andata a trovarla. Per arrivare, ho fatto
l'autostop. Per fare l'autostop, in Rojava, si chiede aiuto agli
asais (sicurezza interna). Un po' come se da noi si andasse dalla
polizia per chiedere aiuto a fare l'autostop. Così sono arrivata al
posto di blocco, ho chiesto aiuto per fermare una macchina fidata che
mi portasse al posto di blocco successivo, e loro hanno trovato
l'auto di una coppia, originaria di Asake. Al posto di blocco
successivo c'era Sadiya, mi stava aspettando li con il suo papà. Ci
siamo abbracciate a lungo. Ero un po' sorpresa, perché ero abituata
a vederla in pantaloni e maglione, mentre questa volta aveva il
vestito lungo tipico delle donne. “Papà dice che i pantaloni e
maglione nel villaggio sono una vergogna per una donna. Ma quando
esco fuori posso andare con i pantaloni, non è un problema” mi
spiega. Su un furgone (guidato dal suo papà) siamo ripartite. Pochi
minuti di strada asfaltata e poi giriamo a destra, in una stradina
sterrata. Queste strade non sono considerate nelle mappe. Google map
in questa zona non segna ne' strade ne' villaggi: si possono
riconoscere solo dalla visione aerea; eppure la maggior parte di
questi territori è costellata di piccoli villaggi come questi.
Comunque, dicevamo, il villaggio di Sadiya è il secondo che troviamo
sul percorso. Sadiya e il suo papà sono co-sindaci del villaggio
“non è normale che in questo ruolo siano padre e figlia, ma nessun
altro voleva assumersi la responsabilità, per questo adesso siamo
noi” spiega Sadiya.
La
mamma di Sadiya ha male agli occhi. È stata con la famiglia fino as
Haseke dal dottore per capire cosa fosse. Il dottore ha detto che ha
pianto troppo, e che questo le ha disidratato l'“anima”
dell'occhio, che deve prendere delle medicine, ma per trovarle deve
andare a Qamislo. Soprattutto, deve smettere di piangere. La mamma di
Sadiya piange tanto da quando è morto suo figlio. Suo figlio era
andato a combattere per il Rojava, ed è stato ammazzato vicino ad
Asake. Hanno mandato la sua foto ad Asake per farne un bel quadro
grande da appendere in casa. La mamma di Sadiya mi mostra un
cellulare, non certamente ultimo modello, ma funzionante: spiega che
suo figlio, nome di battaglia Qandil, glielo aveva mandato come
ricordo ed ora lei si addormenta con quel telefono sul petto.
Casa
della famiglia di Sadiya è di buona fattura, per essere di un
villaggio: c'è un salotto (dove si dorme anche), e poi altre due
stanze, di cui una che funge da deposito. Fuori c'è la cucina, e ad
alcune decine di metri di distanza, il bagno. Sadiya era preoccupata,
prima che arrivassi, che non mi piacesse casa sua, perché essendo
magari abituata alle case di città questa mi sarebbe potuta sembrare
troppo povera. Le ho risposto che a fare bella una casa non sono i
muri o i pavimenti, ma la gente che ci abita dentro, e che comunque
casa sua è bella. In realtà credo che il suo disagio fosse dovuto
al fatto che per esempio nei villaggi per lo più le case non sono
fatte di muratura ma di mattoni di fango: in realtà il fango secco è
mescolato con paglia, e questo fa di esso un ottimo isolante, per cui
anche le case di mattoni spesso vengono ricoperte di fango e sembrano
fatte di fango; o per esempio al fatto che anche il pavimento nelle
case è fatto con lo stesso materiale di fango misto a paglia
seccato, che quando ce n'è la possibilità viene ricoperto con dei
tappeti, ma nemmeno questo è un particolare problema, anzi, una
volta che c'è un tappeto non si nota nemmeno che sotto non c'è un
“vero” pavimento. La corrente arriva più raramente che in città,
normalmente una o due ore al giorno “una volta siamo rimasti senza
corrente per 20 giorni di seguito” spiega Sadiya; il generatore si
accende raramente in realtà, ma una volta che per la sera ci si
attrezza con pile o modi alternativi di illuminazione, 24h al giorno
di elettricità non sono l'essenziale. L'unica cosa un po' fastidiosa
è l'acqua, che è leggermente salata, perché il pozzo del villaggio
non è particolarmente profondo, e quindi l'acqua non è
completamente dolce; questo viene però compensato dalla bontà del
cibo. Le uova, ad esempio: dal momento che le galline scorrazzano
libere nel giardino, le uova sono veramente saporite e diverse da
quelle di città, con un tuorlo grande e scuro; lo yogurt, di pecora,
e più saporito di quello di mucca ma comunque più delicato di
quello di capra; il formaggio viene fatto in casa, ma la cosa più
buona è il pane, detto tannuri. Quest'ultimo viene cucinato in una
specie di forno, il “forno tannuri”, a forma di grande vaso,
dentro cui viene acceso un fuoco e poi spento in modo che resti
caldo. Al pane viene data la forma di pizza, viene schiacciato contro
le pareti del suddetto forno con l'aiuto di una specie di cuscino
apposito, e poi viene staccato e si può conservare per diversi
giorni prima di essere mangiato.
Coloro
che si occupano degli animali, dell'orto, di fare il pane e
ovviamente di cucinare e tenere in ordine la casa sono le donne. Gli
animali sono diversi, tutti di piccola o media taglia: ci sono
galline e tacchini, in alcuni villaggi oche, e colombe. Poi ci sono
capre e pecore, con cani per aiutare a prendersene cura. E conigli.
Certe volte si crea confusione e le galline entrano nella casina dei
conigli, mentre questi sono fuori “i conigli litigano tra loro, e
anche le galline litigano tra loro; però galline e conigli non
litigano, così non è un problema se le galline entrano nella casina
dei conigli” mi spiega Sadiya, quando rido di fronte all'invasione
delle galline verso la casina dei conigli. Ci sono alberi di olive
“quest'anno non hanno fatto olive, le fanno una volta ogni due
anni, le faranno l'anno prossimo”, e poi un orto in cui in
primavera crescono ortaggi “ho sentito che in città la gente
mangia i pomodori anche d'inverno... ma d'inverno non crescono i
pomodori, dove li trovano?” domanda Sadiya. In effetti, sembra che
secondo alcuni aspetti questi villaggi siano quasi rimasti fuori dal
grande circuito commerciale che ormai omogeneizza tutto il mondo. C'è
un “negozio”, che consiste in una piccola stanza in cui si
possono comperare fazzoletti, qualche merendina, caffè in polvere, e
generi di prima necessità; però non sempre ci sono persone nel
negozio: per comperare bisogna andare a casa del proprietario (tanto
è lo stesso edificio), chiedere di entrare, e poi puoi comperare
quello che ti serve. Certe volte arriva nel villaggio un mezzo che
vende stoviglie, si ferma il tempo necessario, e riparte per il
villaggio successivo. In tutto il villaggio ci sono 4 mezzi (tra
furgoni e automobili) per muoversi, più una mietitrebbia che serve
per tutti i villaggi del circondario; e anche i mezzi che ci sono
decisamente non sono dei più moderni.
La
famiglia di Sadiya mi ha dato da mangiare e da dormire per 3 giorni.
Abbiamo chiacchierato attorno alla stufa, o sedute fuori al sole.
Insieme abbiamo camminato per il villaggio, siamo andate fino la
cimitero (su una collina a poche centinaia di metri di distanza), e
ho conosciuto altre persone del villaggio. La leggendaria ospitalità
curda, anche in questi casi, non si è fatta attendere.
La
prima sera è venuta a fare visita la sorella di Sadiya, con il
marito e 4 delle 7 figlie. Sebbene il numero medio di figli per
famiglia sia intorno ai 10, 7 mi sembrano già tante, tanto più che
lei è giovane, e mi raccontava che c'era un periodo in cui ne
partoriva una all'anno. Le domando se non siano tante, se poi non ne
rimetta di salute, e lei dice “certo che ne rimetto di salute, ma
mio marito vuole il maschio.” E a me ricorda i racconti di alcune
ginecologhe occidentali, che spiegano come a volta impiantino spirali
a molte donne all'insaputa dei loro mariti, perché i mariti non
sappiano che loro non vogliono più figli.
Il
secondo giorno siamo andati a fare visita a Rusiya, compagna che
abita nel villaggio vicino. Anche Rusiya era al perwarde con Sadiya e
me. Il villaggio dove abita Rusiya è grande circa il doppio di
quello dove abita Sadiya. Ci sono 30 case, mentre in quello di Sadiya
ce ne sono 15 “una volta c'erano 30 case anche qui, ma poi tanti si
sono trasferiti in città” mi ha spiegato la mamma di Sadiya. È da
dire che qui i villaggi sono moto a misura familiare, cioè, spesso
chi nasce nel villaggio si sposa anche nel villaggio, o al massimo
nei villaggi vicini, con il risultato che alla fine sono tutti
imparentati. Considerando poi che molte famiglie superano i 10 figli,
non sorprende che in ogni casa ci sia un parende diretto di qualche
tipo.
Il
giorno precedente alla nostra visita, alcune donne di Yeketiya Star
hanno telefonato a Rusiya dicendole di radunare le donne del suo
villaggio perché sarebbero venute per un'assemblea. Così siamo
andate tutte e tre assieme (Rusiya, Sadiya ed io), casa per casa, ad
invitare le donne all'assemblea. Abbiamo fatto il giro di tutte le
case del villaggio, dicendo alle donne di venire all'assemblea. Siamo
andate anche nel villaggio vicino, anche se quel villaggio è di idee
più vicine a Barzani e quindi era molto probabile che nessuna
avrebbe partecipato. Non abbiamo ricevuto risposte aggressive, tutte
hanno aperto la porta volentieri. Qualcuna (poche) hanno espresso
perplessità, ed è anche per questo che poi, quando all'assemblea
solo 7-8 donne si sono presentate siamo rimaste sorprese. Ma
d'altronde, non è una novità che le donne – e gli uomini –
fatichino a capire l'importanza dell'autonomia femminile, e ancor più
difficile sia rendersi attivi in diverso modo. Il punto è cambiare
la mentalità, e questo è un processo lungo per cui serve tanta
tanta pazienza e forza di volontà. In alcuni villaggi il processo è
iniziato prima, adesso la situazione è diversa, ma in altri è
iniziato dopo e c'è ancora molta strada da fare.
Dopo
essere state casa per casa in tutto il villaggio per chiedere alle
donne di venire all'assemblea, siamo tornate a casa di Russiya. Erano
le 2, e nessuno aveva preparato il pranzo. Gli uomini erano rimasti
di fronte alla stufa a chiacchierare, mentre la mamma di Rusiya stava
dietro ai bambini. Il papà di Sadiya mi ha spegato la situazione in
questo modo “Russiya è sempre in giro, e non prepara il pranzo, ti
pare giusto? Sono le due, è tardi!” io gli rispondo che stavamo
facendo del lavoro, che dovevamo farlo, che se hanno fame anche suo
padre può preparare da mangiare e il padre di Rusiya risponde “ma
non lo dico mica per questo! Lo dico per sua sorella, è più
piccola, se Russiya è in giro tocca a lei preparare il pranzo, ti
sembra sensato?” Gli ripeto che anche gli uomini possono preparare
da mangiare, e lui risponde: “beh, gli uomini lavorano, così
quando tornano a casa non si può pretendere che cucinino e
puliscano!” io gli dico che anche le donne lavorano, che Russiya
stava lavorando, che per questo è arrivata tardi, e lui, con un'aria
di sufficienza “ma i lavori delle donne sono leggeri, cosa vuoi che
sia!” a questo punto, per non essere l'ospite che critica
eccessivamente, decido di lasciare perdere; d'altronde non c'è
peggior sordo di chi non vuol sentire. Sicuramente, questi due uomini
non sono gli unici a sentirsi estremamente lontani dalle
problematiche femminili, a non vederle proprio. A non capire che nei
lavori di casa, se entrambi si lavora, si dovrebbe essere alla pari.
A considerare “esagerato” che le donne rivendichino i propri
diritti...e no, non parlo solo di uomini del medio oriente. Nel
frattempo, Russiya cucina in uno stanzino veramente piccolo, con una
specie di fornello a petrolio che rende l'aria soffocante. Frigge
patate e prepara burgul. Sua madre, invece, mi domanda: “ma da voi,
gli uomini e le donne, in casa, sono uguali?” io le rispondo che in
qualche caso si, ma nella maggior parte dei casi no. Che poi, in
realtà anche da noi, quanti uomini lavano i piatti, fanno
regolarmente da mangiare per tutta la famiglia o sono in grado di far
partire una lavatrice senza creare problemi con i colori? Non arrivo
in profondità tale da raccontarle che da noi l'identità femminile
viene cancellata al punto che le donne vengono convinte che per
essere felici devono essere uguali agli uomini, “forte come un
uomo”, “libera come un uomo”, perché probabilmente sarebbe
stata un'altra discussione difficile da comprendere per chi non fosse
mai entrato in contatto con il “nostro” mondo. La mamma di Rusiya
mi domanda di nuovo: “Da noi un uomo, quando divorzia o quando sua
moglie muore, prende in fretta in sposa un'altra donna perché possa
prendersi cura dei bambini. Da voi è così?” io le rispondo che da
noi non è così, ma che questo fatto che mi ha appena descritto è
esattamente la prova che la forza delle donne è superiore di quella
degli uomini. Perché una donna senza uomo può vivere, può
prendersi cura dei bambini, è in grado di tenere una casa; mentre un
uomo senza donna deve urgentemente cercarne una perché altrimenti
non riesce a vivere. Lei sorride, mi capisce, e mi abbraccia. A me
viene in mente, pensando alle nostre terre occidentali, il detto
“dietro ogni grande uomo c'è una grande donna,” che non viene
declinato al contrario, cioè non si dice che dietro ogni grande
donna c'è un grande uomo, perché semplicemente le “grandi donne”
di solito non sono sposate, mentre i “grandi uomini” si. Ma anche
in questo caso, sarebbe stata un'osservazione che riguarda più il
nostro mondo che il suo.
Quello
che voglio dire e che, almeno dal punto di vista delle donne, il
nostro mondo occidentale e questo mediorientale hanno molto più in
comune di quanto sembri. Certo, ci sono numerose differenze; ma
questo non deve offuscare ciò che ci accomuna, perché anche se
lontane, anche se con storie diverse, alla fine siamo tutte donne.
Purtroppo ancora e ancora la consapevolezza di avere gli stessi
problemi alla radice e affrontare le stesse lotte viene subordinata
alle differenze culturali, che la propaganda capitalista ci fa
sembrare abissali, con l'ovvio scopo di tenerci separate e in questo
modo deboli.
(per visualizzare le foto, clikkare su di esse)
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