Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


martedì 19 luglio 2011

Sequestrati e forzati ad entrare in Israele

COMUNICATO STAMPA, 19 Luglio 2011
Sequestrati in acque extraterritoriali 16 cittadini di diversa nazionalità. L’azione non è stata commessa da pirati somali ma dalla marina israeliana.
Tra i sequestrati ci sono deputati, medici, professori , giornalisti, attivisti per la pace (vedi lista passeggeri, foto e brevi biografie) .
Che fine ha fatto Jérôme Gleizes, professore di Economia, direttore della rivista Ecorev, Capo della TCE in Europe? E con lui la dottoressa Jacqueine Le Corre, partita per portare aiuto sanitario alla popolazione di Gaza? Il deputato onorario del Parlamento francese Jean Claude Lefort , il capo dell’associazione ecologica Keep it Blue Jo Le Guen, l’editore Yamin Makri, la vice presidente dell’ AFPS Claude Léostic, già sgradita a Israele per aver sostenuto le ragioni di Arafat, Oummeya Naoufel Seddik,il tunisino oppositore di Ben Ali, ? e Thomas Sommer-Houdeville, e Yannick Voisin e Hilaire Folacci e Stéphan Corriveau ? E il musicista ebreo di fama internazionale Dror Feiler, anche lui imbarcatosi per rompere l’assedio, dove sarà in questo momento? Insieme al professore ateniese Vangelis Pissias, o ai giornalisti Ayyache Derradji, Amira Hass, Stéphane Guida? Quale trattamento riserverà loro Israele?
Il silenzio complice di governi importanti e di governi deboli, e la benevolenza di mass media che utilizzano aggettivazioni improprie per ridurre la portata delittuosa dei suoi reati, purtroppo consente a Israele di fare ogni cosa.
Alcune agenzie pro-assedio hanno addirittura diramato la notizia che la nave Dignite’ è stata “pacificamente fermata” . Pacificamente? non più di quanto possa essere pacifico sfilare un portafoglio con destrezza o “persuadere “ qualcuno con l’ostentazione di sovrabbondanti equipaggiamenti militari a seguire una diversa rotta.
Ci vergogniamo di assistere al signorsì dei nostri governanti e al silenzio-assenso dei nostri mass media, per questo abbiamo chiesto a tutta la società civile e sinceramente democratica di ritrovarsi in ogni città davanti ai consolati e alle ambasciate israeliane per esigere il rilascio della nave e dei suoi passeggeri e per ribadire che l’assedio di Gaza deve finire.
Chiediamo che i mass media non si lascino imbavagliare, ma che svolgano il compito di informazione corretta e di denuncia democratica che in tante occasioni, dignitosamente, rivendicano.
A Roma manifestiamo domani, 20 luglio, alle ore 18 davanti all’ambasciata israeliana in via Michele Mercati per il rilascio dei 16 attivisti sequestrati. Con noi sarà presente anche Vauro, testimone diretto imbarcatosi sulla Stefano Chiarini e costretto a tornare in Italia.
Ufficio stampa Freedom Flotilla Italia
333.5601759 – 338.1521278

venerdì 15 luglio 2011

Breve storia di Oliva e delle ultime aggressioni



Oliva, la barca internazionale che naviga in acque palestinesi per monitorare le violazioni dei diritti umani in esse perpetrate, è stata attaccata due volte in due giorni dalla marina militare israeliana, mettendo in pericolo le vite stesse del suo equipaggio.

L'idea era partita quest'inverno da Vittorio e Nacho. Nacho veniva dalla Spagna, ed aveva conosciuto Vittorio a causa di un film su Gaza che aveva girato, lo aveva intervistato quando raccontava degli accompagnamenti dei pescatori palestinesi. Vittorio diceva che, con la presenza di internazionali nella barche palestinesi, con i pescatori erano riusciti a superare il limite delle 3 miglia marine imposto da Israele e la quantità di pesce era aumentata al punto da far calare drasticamente i prezzi al mercato. Hanno smesso quando i soldati li hanno portati via tutti, con i pescatori che accompagnavano, e sono stati tenuti sotto sequestro in una prigione israeliana prima di essere deportati nel loro paese d'origine.

Allora, appunto quest'inverno, Vittorio e Nacho si sono messi in testa che una barca internazionale, individuata chiaramente come “terza parte” posta in acque palestinesi per osservare e documentare quel che succedeva, sarebbe stato un aiuto concreto per i pescatori sotto minaccia israeliana. Il nome “Oliva” era stato scelto in una partecipata assemblea al Gallery, un bar all'aperto di Gaza city. Gli ultimi tre nomi rimasti erano: Tahrir (libertà), AlManara (faro) e, appunto, Oliva. Oliva ricorda l'amore dei palestinesi per la loro terra. Oliva ricorda gli alberi sradicati e l'olio, quell'olio che deve per forza essere il migliore del mondo perché porta in se tutta la forza ed il sangue di coloro che sono morti per difenderlo. La parola Oliva, poi, ha proprio un bel suono.

Intanto i pescatori continuavano a raccontare le loro storie. Come quella di Mustafa, Mahmoud e Hjazi, usciti il 5 di marzo durante una tempesta per pescare (“non possiamo permetterci di perdere un giorno di lavoro” - dicevano). La nave da guerra israeliana li ha raggiunti mentre si trovavano a 2,5 miglia dalla costa, ed ha cominciato e sparare alle loro reti, e loro continuavano a tirarle dentro la barchetta perché, dicevano, non potevano lasciarle li, e non è una novità che i soldati sparino alle reti. I soldati, però, hanno minacciato di sparare anche a loro se non si fossero fermati. Così hanno spento il motore, la nave da guerra ha compiuto qualche giro attorno alla piccola barca rischiando di farla capovolgere, i pescatori sono stati obbligati a denudarsi e buttarsi in mare per nuotare fino alla nave sionista, dove sono stati bendati, fatti inginocchiare sul freddo ponte in metallo e legati con strette cinghie alle mani. Ad Ashdod (il porto israeliano) sono stati interrogati, e componenti dello shin bet (servizio segreto israeliano) hanno chiesto loro dove si trovassero i diversi uffici del porto, loro hanno risposto in maniera evasiva. Di fronte a Mustafa, il più vecchio, è stato posto del denaro, molto denaro...gli è stato domandato se volesse lavorare per loro. Lui ha scosso la testa in segno di diniego. Sono stati rimandati a Gaza senza scarpe, entrando da Erez. Non hanno più rivisto la loro barca, con le reti e tutto il materiale.
Alaam ha 15 anni ed è stato sequestrato con suo padre Nasser mentre stava pescando. Nasser racconta: “La nostra barca è ridicolmente lenta, ha un motore di soli 8 cavalli. Così, mentre gli altri con cui eravamo sono riusciti a scappare, siamo rimasti da soli. [Le navi da guerra] ci hanno raggiunti e ci hanno ordinato di fermarci. Gli ho risposto che stavo andando a casa ed ho continuato ad andare indietro. Ci hanno ordinato nuovamente di fermarci, ma ho continuato a navigare verso la spiaggia... solo 4 giorni fa avevano sparato a mio figlio Yasser e non avevo nessuna voglia di obbedire loro. A quel punto hanno iniziato a sparare e non mi è rimasta altra alternativa che fermarmi”. Poi, come in tutte le volte, sono stati fatti spogliare, hanno nuotato fino alla nave israeliana e sono stati sottoposti ad interrogatorio ad Ashdod. La barca, come sempre, sequestrata. Alaam era stato colpito dai proiettili israeliani anche un anno prima, e ha mostrato le cicatrici sul petto.
La storia di Yasser non è molto diversa da queste o da moltissime (troppe) altre: ha un proiettile nel petto ben visibile dalle ecografie e, quando gli è stato chiesto se volesse lasciare un messaggio, ha affermato: “vogliamo il nostro mare indietro. Aiutateci a far si che il mare sia di nuovo aperto per noi!”.

Durante gli accordi di Oslo era stato stabilito che i pescatori palestinesi non potessero allontanarsi più di 20 miglia marine dalla costa di Gaza. Questo limite è stato abbassato unilateralmente da Israele prima alle 6 miglia marine e poi, dopo l'attacco terroristico israeliano denominato “piombo fuso”, fino alle 3 miglia marine. Questo limite è fatto rispettare dalle navi da guerra sioniste tramite l'uso di armi da fuoco. Per dare dei numeri, tra il 27 dicembre 2010 ed il 27 gennaio 2011 sono stati riportati 5 attacchi da parte della marina militare israeliana, che hanno portato al sequestro di 16 persone. Tra l'agosto 2008 ed il giugno 2009 55 palestinesi e 3 attivisti internazionali sono stati portati via dalle navi da guerra; nello stesso periodo sono state confiscate 26 navi e relativo materiale necessario per la pesca. Tutto ciò ha portato ad un aumento delle famiglie sotto la soglia di povertà presso i pescatori palestinesi: esse erano il 90% nel 2010 e il 50% nel 2008. Secondo il Palestinain Center for Human Rights (PCHR) le forze militari israeliane violano il diritto dei pescatori palestinesi alla vita, sicurezza ed incolumità. L'attacco diretto ai civili è una violazione delle legge umanitaria internazionale, ed è considerato crimine di guerra.

Lo scopo principale di Oliva è di sviluppare una terza parte nonviolenta che supporti lo stato di diritto in acque palestinesi e monitori le potenziali violazioni di diritti umani. Sul sito è possibile leggere: “CPSGAZA impiegherà un gruppo di pace di circa 10 internazionali formati per fare da osservatori in acque territoriali di Gaza. […] La squadra CPSGAZA si muoverà in una barca identificabile con il nome di “Oliva”. L'Oliva accompagnerà i pescatori di Gaza e riporterà e documenterà riguardo i diritti umani e le violazioni dello stato di diritto alle parti in gioco ed ai rappresentanti della comunità internazionale”. È un progetto pensato per durare a lungo, perché è sul lungo termine che si possono cambiare le ingiustizie. Il gruppo attivo in CPSGAZA è indipendente da qualsiasi partito politico, e rispettoso della cultura locale.

Oggi gli ideatori iniziali del progetto non si trovano più a Gaza, Vittorio è morto ammazzato e Nacho ha ricevuto il “denied entry” da Israele. Però la barca continua a salpare, grazie alle numerose associazioni che la supportano e grazie al coraggioso e paziente lavoro di un gruppo di attivisti ed attiviste.
Il 13 ed il 14 di luglio Oliva ha subito pericolosi attacchi da parte delle navi da guerra israeliane. Alle 12.05 di mercoledì 13 si trovavano a bordo un'attivista inglese, un danese, il capitano ed una giornalista. Ruqaya, inglese, racconta: “Quando ci hanno attaccato ci trovavamo a meno di 2 miglia marine dalla costa di Gaza. Li abbiamo visti sparare acqua ad alcune barche di pescatori così ci siamo diretti verso quell'area. Quando ci siamo avvicinat*, la nave da guerra ha abbandonato le barche dei pescatori e si è rivolta verso di noi. Ci hanno attaccat* per circa 10 minuti, seguendoci mentre noi ci dirigevano verso la costa ed infine rallentando quando ci trovavamo a circa un miglio da essa.”
Per quanto riguarda giovedì 14, alle 8:15 due navi da guerra si sono avvicinate ad Oliva mentre stava navigando entro le 3 miglia. Gli statunitensi a bordo ed il capitano sono stati attaccati con cannoni ad acqua che hanno riempito la nave di acqua fino al punto di farne rischiare l'affondamento o il capovolgimento. I due membri statunitensi dell'equipaggio ed il capitano sono stati salvati dalla nave e portati in un peschereccio palestinese che però ha continuato a subire le angherie dei soldati israeliani -che continuavano a girare attorno alla barca sparando acqua- per un'altra ora. Prima di allontanarsi la marina israeliana ha fatto sapere che se fossero tornati in mare avrebbe sparato sia ai pescatori palestinesi che a chi era li per monitorare le violazioni dei diritti umani.

Mi hanno scritto da Gaza dicendo che sono riusciti a recuperare la barca, e che continueranno con i quattro viaggi settimanali come era stato deciso all'inizio. Domani saranno di nuovo in mare...

I sionisti sono violenti e sadici, ma non sono stupidi. Se attaccano Oliva hanno le loro ragioni. E le loro ragioni mi sembrano oggi più palesi che mai: quello di cui loro hanno paura, quello che li mette in stato di angoscia, quello che può realmente mettere in crisi il sistema terroristico che hanno creato, è dire la verità su quel che stanno facendo. Raccontare i loro feroci crimini, fare in modo che si sappia cosa stanno facendo passare al popolo palesitinese. Perché talvolta accade che chi legge o ascolta riguardo le infamie di questa forza occupante prende posizione attivamente contro di esse, per esempio boicottando Israele. E questo fa paura ai sionisti: loro sono li perché il nostro mondo li autorizza a starci, perché non abbiamo preso posizione con sufficiente forza... Boicotta Israele.

giovedì 14 luglio 2011

Israele minaccia di morte l'aquipaggio di Oliva.

Quella che segue è la traduzione del comunicato diffuso da CPSGAZA, di cui è possibile trovare la versione originale su http://www.cpsgaza.org/2011/07/cps-gaza-responds-to-israeli-naval.html.
Ancora una volta la dimostrazione che ciò di cui hanno più paura le forze di occupazione è che si racconti la verità su quello che stanno facendo, e che si prenda posizione attivamente contro i loro crimini.


Per il secondo giorno consecutivo l'imbarcazione per il monitoraggio dei diritti umani CPSGAZA ha subito attacchi consistenti da parte delle forze navali israeliane, e per la prima volta le minacce erano potenzialmente letali.

Circa alle 8:15, due cannoniere israeliane si sono avvicinate ad Oliva mentre stava navigando entro il limite di pesca delle 3 miglia marine unilateralmente imposte e fatte rispettare dalle forze israeliane.
 
Dopo averle girato attorno diverse volte, la marina israeliana ha sparato ad Oliva ed al suo equipaggio con cannoni ad acqua, con l'apparente intento di riempire la barca di acqua e farla affondare.

I due membri statunitensi dell'equipaggio ed il capitano palestinese sono stati salvati dalla nave, che rischiava di capovolgersi entro poco, da una barca di pescatori che li hanno trasportati in un peschereccio nelle vicinanze.

Una delle navi da guerra ha poi girato attorno al peschereccio per quasi un'ora, sparando con i cannoni ad acqua e facendosi beffe dell'equipaggio di pescatori gridando dall'altoparlante: “Dove sono i vostri pesci? Mostratemi i vostri pesci!”

La nave da guerra infine si è allontanata, non dopo aver avvisato che se fossero tornati in mare la marina israeliana avrebbe sparato sia ai pescatori palestinesi che a chi era li per monitorare le violazioni dei diritti umani.

“Questo comportamento e queste minacce nei confronti di osservatori internazionali disarmati mette chiaramente in luce il tentativo di nascondere i crimini di un blocco ancora in corso”, ha affermato Alexandra Robinson, cittadina statunitense membro dell'equipaggio CPSGAZA che ha subito l'attacco.

Civil Peace Service Gaza è un'iniziativa di una terza parte nonviolenta che si pone come scopo quello di monitorare le violazioni dei diritti umani in acque territoriali di Gaza.

mercoledì 13 luglio 2011

Oliva attaccata da navi da guerra israeliane

Oliva è una barca con equipaggio internazionale che naviga nella acque palestinesi al largo di Gaza allo scopo di monitorare, documentare e rendere pubbliche le frequenti violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze di occupazione israeliane nei confronti dei pescatori palestinesi. Essa è stata oggi attaccata con dei cannoni ad acqua dalle stesse navi da guerra sioniste che si proponeva di filmare.

Le limitazioni di movimento unilateralmente imposte dalle forze di occupazione nei confronti dei pescatori palestinesi li costringono a non allontanarsi da riva più di 3 miglia marine. Gli attacchi però vengono portati avanti anche all'interno di questo limite, infatti Ruqaya, presente su Oliva al momento dell'attacco, afferma: "Quando ci hanno attaccato ci trovavamo a meno di 2 miglia marine dalla costa di Gaza. Li abbiamo visti sparare acqua ad alcune barche di pescatori così ci siamo diretti verso quell'area. Quando ci siamo avvicinat*, la nave da guerra ha abbandonato le barche dei pescatori e si è rivolta verso di noi. Ci hanno attaccat* per circa 10 minuti, seguendoci mentre noi ci dirigevano verso la costa ed infine rallentando quando ci trovavamo a circa un miglio da essa"

È un fatto grave che dimostra ancora una volta come Israele non abbia scrupoli nemmeno nei confronti di attivisti totalmente nonviolenti, e di come il suo peggiore timore sia che vengano diffuse evidenze che confermano l'assoluta violenza ed impunità che caratterizzano lo stato che ha violato più risoluzioni ONU al mondo.

Per ora copio-incollo il comunicato di CPS Gaza, che lancia una conferenza stampa per questa sera. Seguiranno aggiornamenti. (quanto segue è preso da http://palsolidarity.org/2011/07/19447/)




13 July 2011 | Civil Peace Service Gaza
For Immediate Release
Israeli naval forces attacked the Civil Peace Service Gaza monitoring boat with water cannons earlier today.
Civil Peace Service Gaza is an international third party non-violent initiative to monitor potential human rights violations in Gazan territorial waters.
The initial attack happened at 12.05pm local time. There were four people aboard the Oliva boat at the time, two CPS Gaza crew members (from the UK and Sweden), the captain and a journalist.
British human rights worker Ruqaya Al-Samarrai stated: “We were fewer than two miles away from the Gaza coast when they fired at us. We saw them firing water at some fishing boats so we headed to the area. When we got close, the warships left the fishing boats, and turned on us. They attacked us for about ten minutes, following us as we tried to head to shore and eventually lagged when we reached about one mile off the Gaza coast.”
A fishing boat was also fired at and damaged with live rounds. Currently Israel claims to allow fishing boats to work within three miles off the coast of Gaza, but the limit is rarely respected and fishermen as close as 1.5 nautical miles are regularly targeted.

Civil Peace Service Gaza to hold press conference following attack from Israeli naval forces
Photos and video available upon request, email press@cpsgaza.org
  • When: 13 July 2011, 9pm local time
  • Where: Fishing port, Gaza
  • Who: Ruqaya Al-Samarrai, British human rights worker for Civil Peace Service Gaza
    Khalil Shaheen, Palestinian Center for Human Rights
    Mahfouz Kabiriti, President of Palestine Association for Fishing and Marine Sports
  • What: Key members of the Civil Peace Service initiative to monitor human rights violations in Gazan territorial waters will speak about today’s attack from Israeli armed naval forces.
Background
Restrictions on the fishing zone are of comparable significance to Palestinian livelihood. Initially 20 nautical miles, it is presently often enforced between 1.5 – 2 nautical miles (PCHR: 2010). The marine ‘buffer zone’ restricts Gazan fishermen from accessing 85% of Gaza’s fishing waters agreed to by Oslo.
During the Oslo Accords, specifically under the Gaza-Jericho Agreement of 1994, representatives of Palestine agreed to 20 nautical miles for fishing access. In 2002 the UN Secretary General Kofi Annan empowered Catherine Bertini to negotiate with Israel on key issues regarding the humanitarian crisis in the Occupied Palestinian Territories and a 12 nautical mile fishing limit was agreed upon. In June 2006, following the capture of the Israeli soldier Gilad Shalit near the crossing of Kerem Abu Salem (Kerem Shalom), the navy imposed a complete sea blockade for several months. When the complete blockade was finally lifted, Palestinian fishermen found that a 6 nautical mile limit was being enforced. When Hamas gained political control of the Gaza Strip, the limit was reduced to 3 nautical miles. During the massive assault on the Strip in 2008-2009, a complete blockade was again declared. After Operation Cast Lead, the Israeli army began imposing a 1.5 – 2 nautical miles (PCHR: 2010).
The fishing community is often similarly targeted as the farmers in the ‘buffer zone’ and the fishing limit is enforced with comparable aggression, with boats shot at or rammed as near as 2nm to the Gazan coast by Israeli gunboats.
The fishermen have been devastated, directly affecting an estimated 65,000 people and reducing the catch by 90%. The coastal areas are now grossly over-fished and 2/3 of fishermen have left the industry since 2000 (PCHR: 2009). Recent statistics of the General Union of Fishing Workers indicate that the direct losses since the second Intifada in September 2000 were estimated at a million dollars and the indirect losses were estimated at 13.25 million dollars during the same period. The 2009 fishing catch amounted to a total of 1,525 metric tones, only 53 percent of the amount during 2008 (2,845 metric tones) and 41 percent of the amount in 1999 (3,650 metric tones), when the fishermen of Gaza could still fish up to ten nautical miles from the coast. Current figures indicate that during 2010 the decline in the fishing catch continues. This has caused an absurd arrangement to become standard practice. The fisherman sail out not to fish, but to buy fish off of Egyptian boats and then sell this fish in Gaza. According to the Fishermen’s Union, a monthly average of 105 tons of fish has been entering Gaza through the tunnels since the beginning of 2010 (PCHR 2009).
Palestinian Centre for Human Rights (PCHR). “The Buffer Zone in the Gaza Strip.” Oct. 2010. http://www.pchrgaza.org/facts/factsheet-bufferzone-aug.pdf
Palestinian Centre for Human Rights. “A report on: Israeli Attacks on Palestinian Fishers in the Gaza Strip.” August 2009. http://www.pchrgaza.org/files/Reports/English/pdf_spec/fishermen3.pdf

mercoledì 6 luglio 2011

Dalla Grecia alla Valsusa (passando per Gaza)

La flotilla è ferma in Grecia. E dalla Grecia è patita solo la nave francese, perchè non aveva detto al governo greco che faceva parte della flotilla. Il governo greco ha dimostrato di essere l'ennesimo potere servile ad Israele. Ora, se noi ci fermassimo a ragionare solo sulla questione palestinese, ignorando il fatto che è stata la Grecia, quella stessa Grecia che sta mettendo in atto una “manovra anti-crisi” che sta rendendo i poveri sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi e vieta un futuro alle generazioni più giovani, se ignoriamo il fatto che è la stessa Grecia che reprime i greci che non ne possono più delle prevaricazioni del potere sulle loro stesse vite, se pensiamo solo a che le barche non sono partite tralasciando tutto il resto, allora credo che stiamo guardando il mondo con i paraocchi. Non perché la questione greca sia più importante di altre, ma perché ciascuna lotta, se non è contestualizzata, perde di forza ed importanza.

La Resistenza non è solo quella palestinese. Vik era solito dire “la Palestina è il fronte su cui io combatto, ma ciò per cui tutti assieme lottiamo è qualche cosa di molto più ampio”... e, oggi, l'esempio più vicino di resistenza attiva che posso osservare qui in Italia è quello della Valsusa.
Ora, non è questo il luogo per descrivere le pericolosità dell'ennesimo mostro messo in campo da un potere esterno sulle spalle di chi abita un certo luogo, di elencare gli sperperi di denaro che esso comporta, ne' di descriverne l'inutilità in una valle in cui già esiste una linea ferroviaria sottoutilizzata.
Ciò su cui verrei riflettere è che in Valsusa, come in Palestina, si sta combattendo per il diritto di abitare la propria terra, per il diritto di poter avere una vita dignitosa, per il diritto di poter decidere del proprio territorio. Vorrei dire che le ragioni che spingono un palestinese a voler tornare a casa sua nei territori del '48 o quelle che spingono un valsusino a voler tornare alla Maddalena, in fondo, sono molto simili. I sentimenti di un contadino palestinese che vuol continuare a coltivare la propria terra anche se si trova nella buffer zone e i cecchini israeliani gli sparano sicuramente possono essere ben compresi da un viticoltore che non può raggiungere le sue vigne perchè glielo impediscono dei poliziotti in divisa messi li da un potere esterno alla valle che ha deciso di militarizzare l'area. In Valsusa come a Gaza i media hanno fatto il gioco dei potenti, e coloro che subiscono le ingiustizie si trovano di fronte allo stesso tipo di menzogne mediatiche (ricordate Maroni che definisce i no-tav terroristi?). Chi sostiene che l'incidenza di cancri è aumentata a Gaza dopo piombo fuso o dopo le discariche installate dai sionisti vicino al confine di Gaza, non potrà appoggiare un'opera che libererà dalle montagne piemontesi amianto (che causa il cancro al polmone) e uranio. Siamo tutti certi che poi i check point nella west bank siano meno leciti dei check point imposti dalla polizia alla gente che abita in Valsusa?

Con questo non voglio dire che la situazione a Gaza o in Valle siano uguali, però voglio affermare che esse sono due fronti in cui si combatte la stessa lotta.

Pensare che si possa risolvere il problema palestinese senza contestualizzarlo e senza trovare legami ed affinità con tutte le altre lotte trovo che sia ingenuo, se non addirittura ipocrita.
Se perdiamo di vista il fatto che combattiamo tutt* per la stessa ragione, che è il sistema tutto ad essere marcio e quello con cui ci confrontiamo sono solo le conseguenze, allora abbiamo già perso in partenza.

È come osservare la punta di un iceberg: il grosso sta sottoterra, se io mi impegno a distruggere solo la parte che vedo l'iceberg continuerà a salire fuori, perchè la parte sommersa non viene intaccata. Parlare di israele è come puntare il dito verso la parte visibile, il che è essenziale perchè permette di individuare la parte sommersa, però dall'altro lato, se vogliamo fare sparire l'iceberg dobbiamo lavorare anche sulla parte sommersa. Non possiamo pensare solo ad Israele, perchè Israele stesso è conseguente, funzionale e parte integrante di un sistema malato, la cui malattia va molto più in profondità. Se combattiamo contro l'apartheid israeliana, ha senso ed è doveroso combattere contro tutte le forme di razzismo, altrimenti la nostra lotta diventa ipocrita. Se pensassimo che il razzismo israeliano è inaccettabile ma approvassimo la presenza dei CIE (per fare un esempio), avremmo perso di credibilità. Se combattendo Israele dimentichiamo che esso sta li per interessi legati alla nostra stessa società ed economia, se sleghiamo la crisi sociale da quella economica e da quella ambientale pensando che abbiano cause diverse, stiamo facendo il gioco di chi vuol fare si che questo sistema continui a viaggiare sui binari di sangue dove si muove.

Ciò che fa paura a chi vuol privare l'essere umano delle libertà è il fatto che si sia uniti e che non ci si arrenda. I palestinesi fanno paura ad Israele perchè hanno imparato che solo uniti si può vincere e che nessuna delle varie forme di lotta ha più dignità delle altre, e perchè hanno saputo resistere per 63 anni. Queste stesse ragioni -l'unità della lotta e la sua persistenza- sono quelle che rendono le proteste in valsusa vincenti da un lato e pericolose per il potere dall'altro.

L'unità di intenti l'ho vista a Gaza quando nelle manifestazioni nonviolente gli slogan erano “min Rafah la Jenin kullu nas muqawemyn” (da Rafah a Jenin siamo tutti Resistenza). Per Muqawama di solito si intende resistenza armata, ma non solo...lo slogan “siamo tutti resistenza” significa che ciascun* con i mezzi che ritiene più opportuni, ciascun* con le modalità che gli o le calzano meglio addosso, è parte fondamentale di questa Resistenza. Ho visto l'unità d'intenti in valle, quando anche chi pratica la nonviolenza afferma che in diverse occasioni sia lecito e giusto reagire o agire in maniera violenta, e quando dall'altro lato chi poi tirava le pietre ha apprezzato l'azione del nonviolento Turi, con la sua verticale di fronte alla polizia. Questo è il primo fatto importante: ovunque, se non ci rendiamo conto che ci stiamo muovendo con mezzi diversi nella stessa direzione, non arriveremo da nessuna parte.

La continuità della lotta l'ho vista a Gaza in maniera fortissima, quando dopo 63 anni migliaia di persone si sono recate ai confini israeliani per rivendicare la loro libertà di tornare a casa, quando i contadini continuavano a coltivare la loro terra nonostante i sionisti, quando le ragazzine di sedici anni con madre e sorella appena ammazzate da Israele dicevano “nemmeno nei loro sogni ce ne andremo dalla Palestina”. La ho vista, forse un po' più in piccolo, in valle osservando questo popolo di montanari iniziare a lottare negli anni 90 e non essersi ancora arreso, anzi, intensificando la lotta di anno in anno, e trovando la capacità di coinvolgere in questa persone da fuori dimostrando -se fosse stato ancora necessario- che non si trattava di una lotta NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio giardino).

Avevo salutato Gaza con quel pezzo che si chiamava “ho imparato”. Ho imparato significa che oggi per me è necessario mettere in pratica quello che mi è stato insegnato. Io oggi per questo rivendico di aver partecipato all'assedio di un cantiere imposto dall'esterno sulle spalle di una popolazione che non lo vuole. Sono felice ed orgogliosa di essere stata li con decine di migliaia di persone che hanno agito in maniere differenti ma che -tutte!- avevano dalla loro la forza di sapere di essere nel giusto.
E ribadisco che la lotta portata avanti in valle non è qualche cosa di separato da quella portata avanti dai gazawi, o dai migranti nei CIE. Essa è la lotta, prima di tutto, dell'essere umano per la sua libertà, contro chi o cosa vuole privarlo di questa.

In Valsusa come a Gaza siamo tutti resistenza.