Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


lunedì 27 dicembre 2010

Lettera aperta da Gaza: due anni dopo il massacro pretendiamo giustizia



(english below)
Gaza assediata, Palestina
27 dicembre 2010

Noi palestinesi della striscia di Gaza sotto assedio, oggi, a due anni dall'attacco genocida di Israele alle nostre famiglie, alle nostre case, alle nostre fabbriche e scuole, stiamo dicendo basta passività, basta discussione, basta aspettare – è giunto il momento di obbligare Israele a rendere conto dei suoi continui crimini contro di noi. Il 27 dicembre 2008 Israele ha iniziato un bombardamento indiscriminato della striscia di Gaza. L'attacco è durato 22 giorni, uccidendo, secondo le principali organizzazioni per i diritti umani, 1417 palestinesi di cui 352 bambini. Per 528 sconvolgenti ore, le forze di occupazione israeliane hanno scatenato i mezzi provenienti dagli Stati Uniti: F15, F16, Carri armati Merkava, il fosforo bianco proibito in tutto il mondo, hanno bombardato ed invaso la piccola enclave costiera palestinese dove risiedono 1.5 milioni di persone, tra le quali 800.000 sono bambini e oltre l'80% rifugiati registrati alle Nazioni Unite. Circa 5.300 feriti sono rimasti invalidi.

La devastazione ha superato in ferocia tutti i precedenti massacri sofferti a Gaza, come per esempio i 21 bambini ammazzati a Jabalia nel marzo 2008 o i 19 civili uccisi mentre si rifugiavano nella loro casa durante il massacro di Beit Hanoun del 2006. La carneficina ha addirittura superato gli attacchi del novembre1956 nei quali le truppe israeliane hanno indiscriminatamente radunato ed ucciso 274 palestinesi nella città di Khan Younis (sud della striscia) ed altri 111 a Rafah (nord).

Fin dal massacro di Gaza del 2009, cittadini del mondo si sono assunti la responsabilità di fare pressione su Israele perchè rispetti la legge internazionale, attraverso la strategia già collaudata del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Come è stato fatto nel movimento globale BDS che fu così efficace nel porre un termine al regime di apartheid sudafricano, chiediamo con forza alle persone di coscienza di unirsi al movimento BDS creato da oltre 170 organizzazioni palestinesi nel 2005. Come in Sudafrica lo squilibrio di forze in campo e di rappresentazione in questa lotta può essere controbilanciata da un potente movimento di solidarietà internazionale con il BDS in testa, portando i responsabili dell'atteggiamento israeliano a rendere conto delle proprie azioni, cosa in cui la comunità internazionale ha ripetutamente fallito. Allo stesso modo, sforzi civili e fantasiosi come le navi del Free Gaza che hanno rotto l'assedio cinque volte, la Gaza Freedom March, la Gaza Freedom Flotilla, e i molti convogli via terra non devono smettere di infrangere l'assedio, evidenziando la disumanità di tenere 1,5 milioni di cittadini di Gaza in una prigione a cielo aperto.

Sono passati ora due anni dal più grave degli atti di genocidio israeliani, che dovrebbe aver lasciato la persone senza alcun dubbio sulla brutale vastità dei piani di Israele per i palestinesi. L'assalto assassino verso gli attivisti internazionali a bordo della Gaza Freedom Flotilla nel mar mediterraneo ha reso palese al mondo il poco valore che Israele ha dato alle vite palestinesi finora. Il mondo ora sa, ed adesso dopo 2 anni nulla è cambiato per i palestinesi.

Il rapporto Goldstone è arrivato e passato: nonostante il suo elencare una dopo l'altra le contravvenzioni alle legge internazionale, “crimini di guerra” israeliani e “possibili crimini contro l'umanità”, nonostante l'Unione Europea, le Nazioni Unite, la Croce Rossa, e tutte le più grosse associazioni per i diritti umani abbiano fatto una chiamata per una fine a un'assedio medievale e illegale, esso continua con la stessa violenza. L'11 novembre 2010 il capo dell'UNRWA John Ging ha dichiarato: “non ci sono stati cambiamenti concreti per la popolazione sul terreno per quanto riguarda la loro situazione, la loro dipendenza da aiuti, l'assenza di ogni risarcimento o ricostruzione, nessuna economia...le distensioni, come sono state descritte, non sono state nulla di più che una distensione politica nelle pressioni verso Israele ed Egitto”

Il 2 dicembre 22 organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty, Oxfam, Save the Children, Christian Aid, e Medical Aid for Palestinian hanno prodotto il report “Dashed Hopes, Continuation of the Gaza Blockade (Speranze in polvere, la continuazione del blocco)”, chiamando per un'azione internazionale che forzi Israele ad abbandonare incondizionatamente il blocco, descrivendo come i palestinesi di Gaza sotto l'assedio israeliano continuino a vivere nelle stesse disastrose condizioni. Solo una settimana fa l'Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto dettagliato “Separate end Unequal (separati e diseguali)” che denuncia gli atteggiamenti israeliani come pratiche di apartheid, facendo eco ad affermazioni simili da parte degli attivisti sudafricani anti-apartheid.

Noi palestinesi di Gaza vogliamo vivere in libertà e incontrare amici palestinesi o famiglie da Tulkarem, Gerusalemme o Nazaret, vogliamo avere il diritto di viaggiare e muoverci liberamente. Vogliamo vivere senza la paura di un'altra campagna di bombardamenti che lascia i nostri bambini morti e molti più feriti o con cancro proveniente dall'inquinamento da fosforo bianco israeliano ed armi chimiche. Vogliamo vivere senza essere umiliati ai check point israeliani o la vergogna di non poter provvedere alle nostre famiglie a causa della disoccupazione portata dal controllo economico e dall'assedio illegale. Chiediamo una fine del razzismo che è a fondamento di quest'oppressione.

Domandiamo: quando i Paesi del mondo si comporteranno secondo le fondamentali premesse che gli esseri umani debbano essere trattati in maniera equa, senza differenze di origine, etnia o colore – è così esagerato affermare che i bambini palestinesi abbiano gli stessi diritti di ogni altro essere umano? Sarete capaci un giorno di guardarvi indietro e dire che siete stati dalla parte giusta della storia o avrete supportato l'oppressore?

Noi, inoltre, chiamiamo la comunità internazionale ad assumersi le sue responsabilità e proteggere il popolo palestinese dalle feroci aggressioni di Israele, finire immediatamente l'assedio con un risarcimento completo della distruzione di vite ed infrastrutture di cui siamo stati afflitti da quest'esplicita pratica di punizione collettiva. Assolutamente nulla può giustificare pratiche internazionali feroci come l'accesso limitato all'acqua e all'elettricità a 1,5 milioni di persone. L'omertà internazionale nei confronti della guerra genocida che ha avuto luogo contro più di 1,5 milioni di persone rende palese la complicità in questi crimini.

Facciamo anche un'appello a tutti i gruppi di solidarietà palestinesi ed alle organizzazioni della società civile internazionale per esigere:

  • La fine dell'assedio che è stato imposto alla popolazione palestinese della West Bank e della striscia di Gaza come conseguenza dell'esercizio della loro scelta democratica.
  • La protezione delle vite civili e proprietà, come stipulato dalla legge umaitaria internazionale e dalla legge internazionale riguardo i diritti umani, come la quarta convenzione di Ginevra.-Il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici
  • Che i rifugiati palestinesi nella striscia di Gaza siano immediatamente riforniti di supporto materiale e finanziario per affrontare le immense avversità che stanno vivendo
  • Fine dell'occupazione, apartheid ed altri crimini di guerra
  • Immediati risarcimenti e compensazioni per tutte le distruzioni portate avanti dalle forze di occupazione israeliane nella striscia di Gaza

Boicotta, disinvesti e sanziona, unisciti a molti sindacati in tutto il mondo, università, supermercati, artisti e scrittori che rifiutano di intrattenere l'apartheid di Israele. Parla della Palestina, per Gaza, e soprattutto AGISCI. Il tempo è adesso.

Gaza assediata, Palestina

27 dicembre 2010

List of signatories:
General Union for Public Services Workers
General Union for Health Services Workers
University Teachers' Association
Palestinian Congregation for Lawyers
General Union for Petrochemical and Gas Workers
General Union for Agricultural Workers
Union of Women’s Work Committees
Union of Synergies—Women Unit
The One Democratic State Group
Arab Cultural Forum
Palestinian Students’ Campaign for the Academic Boycott of Israel
Association of Al-Quds Bank for Culture and Info
Palestine Sailing Federation
Palestinian Association for Fishing and Maritime
Palestinian Network of Non-Governmental Organizations
Palestinian Women Committees
Progressive Students’ Union
Medical Relief Society
The General Society for Rehabilitation
General Union of Palestinian Women
Afaq Jadeeda Cultural Centre for Women and Children
Deir Al-Balah Cultural Centre for Women and Children
Maghazi Cultural Centre for Children
Al-Sahel Centre for Women and Youth
Ghassan Kanfani Kindergartens
Rachel Corrie Centre, Rafah
Rafah Olympia City Sister
Al Awda Centre, Rafah
Al Awda Hospital, Jabaliya Camp
Ajyal Association, Gaza
General Union of Palestinian Syndicates
Al Karmel Centre, Nuseirat
Local Initiative, Beit Hanoun
Union of Health Work Committees
Red Crescent Society Gaza Strip
Beit Lahiya Cultural Centre
Al Awda Centre, Rafah

(originale in inglese)


An Open Letter from Gaza: Two Years after the Massacre, a Demand for Justice


Besieged Gaza, Palestine


27. December.2010


We the Palestinians of the Besieged Gaza Strip, on this day, two years on from Israel's genocidal attack on our families, our houses, our roads, our factories and our schools, are saying enough inaction, enough discussion, enough waiting – the time is now to hold Israel to account for its ongoing crimes against us. On the 27th of December 2008, Israel began an indiscriminate bombardment of the Gaza Strip. The assault lasted 22 days, killing 1,417 Palestinians, 352 of them children, according to main-stream Human Rights Organizations. For a staggering 528 hours, Israeli Occupation Forces let loose their US-supplied F15s, F16s, Merkava Tanks, internationally prohibited White Phosphorous, and bombed and invaded the small Palestinian coastal enclave that is home to 1.5 million, of whom 800,000 are children and over 80 percent UN registered refugees. Around 5,300 remain permanently wounded.


This devastation exceeded in savagery all previous massacres suffered in Gaza, such as the 21children killed in Jabalia in March 2008 or the 19 civilians killed sheltering in their house in the Beit Hanoun Massacre of 2006. The carnage even exceeded the attacks in November 1956 in which Israeli troops indiscriminately rounded up and killed 275 Palestinians in the Southern town of Khan Younis and 111 more in Rafah.
Since the Gaza massacre of 2009, world citizens have undertaken the responsibility to pressure Israel to comply with international law, through a proven strategy of boycott, divestment and sanctions. As in the global BDS movement that was so effective in ending the apartheid South African regime, we urge people of conscience to join the BDS call made by over 170 Palestinian organizations in 2005. As in South Africa the imbalance of power and representation in this struggle can be counterbalanced by a powerful international solidarity movement with BDS at the forefront, holding Israeli policy makers to account, something the international governing community has repeatedly failed to do. Similarly, creative civilian efforts such as the Free Gaza boats that broke the siege five times, the Gaza Freedom March, the Gaza Freedom Flotilla, and the many land convoys must never stop their siege-breaking, highlighting the inhumanity of keeping 1.5 million Gazans in an open-air prison.



Two years have now passed since Israel’s gravest of genocidal acts that should have left people in no doubt of the brutal extent of Israel’s plans for the Palestinians. The murderous navy assault on international activists aboard the Gaza Freedom Flotilla in the Mediterranean Sea magnified to the world the cheapness Israel has assigned to Palestinian llife for so long. The world knows now, yet two years on nothing has changed for Palestinians.

The Goldstone Report came and went: despite its listing count after count of international law contraventions, Israeli “war crimes” and “possible crimes against humanity,” the European Union, the United Nations, the Red Cross, and all major Human Rights Organizations have called for an end to the illegal, medieval siege, it carries on unabated. On 11th November 2010 UNRWA head John Ging said, “There's been no material change for the people on the ground here in terms of their status, the aid dependency, the absence of any recovery or reconstruction, no economy…The easing, as it was described, has been nothing more than a political easing of the pressure on Israel and Egypt.”


On the 2nd of December, 22 international organizations including Amnesty, Oxfam, Save the Children, Christian Aid, and Medical Aid for Palestinians produced the report ‘Dashed Hopes, Continuation of the Gaza Blockade’ calling for international action to force Israel to unconditionally lift the blockade, saying the Palestinians of Gaza under Israeli siege continue to live in the same devastating conditions. Only a week ago Human Rights Watch published a comprehensive report "Separate and Unequal" that denounced Israeli policies as Apartheid, echoing similar sentiments by South African anti-apartheid activists.


We Palestinians of Gaza want to live at liberty to meet Palestinian friends or family from Tulkarem, Jerusalem or Nazareth; we want to have the right to travel and move freely. We want to live without fear of another bombing campaign that leaves hundreds of our children dead and many more injured or with cancers from the contamination of Israel’s white phosphorous and chemical warfare. We want to live without the humiliations at Israeli checkpoints or the indignity of not providing for our families because of the unemployment brought about by the economic control and the illegal siege. We are calling for an end to the racism that underpins all this oppression.


We ask: when will the world’s countries act according to the basic premise that people should be treated equally, regardless of their origin, ethnicity or colour – is it so far-fetched that a Palestinian child deserves the same human rights as any other human being? Will you be able to look back and say you stood on the right side of history or will you have sided with the oppressor?


We, therefore, call on the international community to take up its responsibility to protect the Palestinian people from Israel’s heinous aggression, immediately ending the siege with full compensation for the destruction of life and infrastructure visited upon us by this explicit policy of collective punishment. Nothing whatsoever justifies the intentional policies of savagery, including the severing of access to the water and electricity supply to 1.5 million people. The international conspiracy of silence towards the genocidal war taking place against the more than 1.5 million civilians in Gaza indicates complicity in these war crimes.


We also call upon all Palestine solidarity groups and all international civil society organizations to demand:


- An end to the siege that has been imposed on the Palestinian people in the West Bank and Gaza Strip as a result of their exercise of democratic choice.
- The protection of civilian lives and property, as stipulated in International Humanitarian Law and International Human Rights Law such as The Fourth Geneva Convention.
- The immediate release of all political prisoners.
- That Palestinian refugees in the Gaza Strip be immediately provided with financial and material support to cope with the immense hardship that they are experiencing
- An end to occupation, Apartheid and other war crimes.
- Immediate reparations and compensation for all destruction carried out by the Israeli Occupation Forces in the Gaza Strip.


Boycott Divest and Sanction, join the many International Trade Unions, Universities, Supermarkets and artists and writers who refuse to entertain Apartheid Israel. Speak out for Palestine, for Gaza, and crucially ACT. The time is now.


Besieged Gaza, Palestine


27.December.2010

sabato 25 dicembre 2010

Salama Abuashish faceva il pastore

Qualche volta non te lo aspetti, ed arriva così all'improvviso che per un momento ti manca il fiato.

Hanno sparato a 39 persone nelle ultime 5 settimane in quella che israele chiama la “buffer zone”, la striscia di terra vicino al confine dove si recano pastori, contadini, e raccoglitori di pietre che poi vengono frantumate per farne materiale da costruzione. Tutti con le ossa delle gambe maciullate: è strano vedere le lastre, le fratture causate da proiettili non sono lineari ma rompono le ossa in tanti piccoli pezzettini difficili da ricomporre. Di solito i feriti hanno dei ferri che fuoriescono dalla gamba per fissare le ossa e fare in modo che si aggiustino nella giusta posizione.
 Ieri siamo arrivat* all'ospedale di Kamelodwan a Beit Honnoun a nord di Gaza ed abbiamo chiesto del ferito di cui avevamo letto in maan. Pensavamo fosse un ennesimo raccoglitore di pietre. Raccolgono pietre perchè è l'unica possibilità che hanno per portare a casa il pane. All'ingresso ci hanno detto: “l'abbiamo operato, poi l'abbiamo trasferito in terapia intensiva, ma non ce l'ha fatta ed è morto pochi minuti fa”. Aveva 20 anni.

Qualche volta non te lo aspetti, ed arriva così all'improvviso che per un momento ti manca il fiato.

Il primario ha raccontato che il proiettile è entrato dalla schiena, ha attraversato il rene ed è fuoriuscito dalla pancia. Lo zio ci ha spiegato che Salama Abuhashish era un pastore e che tutti i giorni si recava nella stessa area per portare al pascolo le pecore: i soldati che hanno sparato lo vedevano tutti i giorni, sapevano che non era altro che un pastore. Racconta: “Mio nipote si è sposato da un anno. Questa notte la moglie ha partorito il suo primo figlio, e Salama non aveva ancora firmato per il nome prima di recarsi a far pascolare le pecore questa mattina. Io ho saputo nello stesso momento che mio nipote era in fin di vita e che suo figlio era nato.”

Qualche volta non te lo aspetti, ed arriva così all'improvviso che per un momento ti manca il fiato.

Il villaggio di beduini è fatto di tende e poche povere case... Tanti bambini scalzi nella polvere, i più fortunati hanno dei sandali ai piedi.
Nella stanza dove le donne aspettano la salma del morto trovo la moglie di Salama, diventata madre l'altra notte, ancora distesa con una coperta che le copre le gambe e la pancia, vestita con una tuta sportiva ed un velo a quadri marroni e neri. Ha diciannove anni. Non piange, ha grandi e lucidi occhi marroni ed un volto stanco. Quel che si dice di una donna che ormai ha pianto tutte le sue lacrime. Continua ad osservare la figlia di 2 giorni che dorme avvolta nelle coperte. Le altre donne presenti mi chiedono di fotografare la bambina, la mettono in disparte lontano dalla madre perché non è bene fare foto alle donne, e io la fotografo.
Un'altra donna con un velo ed un vestito neri piange: “dimmi se non è haram* ammazzare un ragazzo di 20 anni quando suo figlio è appena nato. Dimmi se non è haram! Gli israeliani sono degli assassini. Tutte le donne in questa stanza dipendevano dal suo lavoro (erano presenti 10 donne) e adesso è morto. Dimmi se non è haram, guarda la madre. Ha diciannove anni, ha partorito l'altra notte. Si è sposato solo un anno fa..solo un anno! Guarda quell'immagine al muro, è quella del suo matrimonio. Guarda la bambina. Cosa faremo adesso?”

Qualche volta non te lo aspetti, ed arriva così all'improvviso che per un momento ti manca il fiato.

Perché? Io chiedo perché un soldato israeliano uccide persone che sa essere semplicemente lavoratori. Con che coscienza “esegue gli ordini”. Vorrei sapere a cosa pensa, cosa fa quando la sera torna a casa, cosa racconta ai suoi figli.
Cosa racconterà la moglie di Salama a suo figlio.
E cosa suo figlio penserà quando sarà grande abbastanza.


*haram è una parala araba che significa “proibito”, ma si usa anche per “orribile” e “ingiusto”

venerdì 24 dicembre 2010

COMUNICATO
Fermiamo la guerra di Israele contro i lavoratori  palestinesi

Nel periodo che va dal 25 di Novembre al 12 Dicembre 22 lavoratori palestinesi sono stati colpiti dai proiettili israeliani e gravemente feriti nella “buffer zone”, una grave escalation di attacchi ai civili palestinesi di Gaza.

La buffer zone è una striscia di terra larga da tre a cinquecento metri che corre lungo il confine israeliano all'interno del territorio di Gaza, dichiarata “no-go zone” dall'esercito israeliano. Secondo le Nazioni  Unite in realtà la buffer zone coinvolge terra fino a 1000-1500 metri dal confine, e la superficie totale ricopre il 35% delle aree coltivabili di tutta la Striscia di Gaza.
Questa terra non è importante solo per i contadini, ma è anche vitale per i cosiddetti “raccoglitori di macerie”. La maggior parte di essi recupera e ricicla materiale edile per la costruzione dalle macerie vicino al confine con Israele, attività molto importante nella Striscia dal momento che Israele da 4 anni impedisce l’entrata di cemento e ferro.
E’ l'unico modo che queste persone hanno per guadagnare il pane per loro e  per le loro famiglie, dal momento che a Gaza non c'è lavoro e la disoccupazione supera il 45% degli abitanti.
I soldati israeliani sparano a questi lavoratori quasi ogni giorno, spesso con proiettili dum-dum, proibiti dalla leggi internazionali, che esplodono all'impatto e procurano spesso invalidità permanenti.

Un totale di 22 raccoglitori di pietre e macerie hanno riportato ferite da arma da fuoco alle gambe nelle ultime 3 settimane, e un totale di 97 casi da marzo 2010. Siamo di fronte ad un aumento dei crimini contro civili nella buffer zone di Gaza, chiara violazione dei dritti umani. Molti di questi feriti rimangono impossibilitati a camminare per lunghi periodi e sono gli unici a farsi carico del sostentamento di famiglie molto numerose.
Anche I bambini vengono colpiti: 4 nelle ultime 3 settimane. Mokles, 15, è stato colpito il 28 novembre. Guadagna 50 shekel (10 euro) al giorno raccogliendo macerie e, assieme a suo fratello maggiore, sono gli unici a guadagnare qualche cosa in una famiglia di 17 persone. Ismael Sa’aed Qapeen, 31 anni, ha perso 3 dita del piede quando per la terza volta I soldati israeliani gli hanno sparato vicino al confine il 30 novembre. Anche 4 suoi fratelli sono stati feriti durante incursioni israeliane, il più recente è il 9 Dicembre.
Qui potrete trovare rapporti dettagliati e fotografie:

http://palsolidarity.org/2010/12/15986/
http://palsolidarity.org/2010/11/15946/
http://palsolidarity.org/2010/11/15946/
http://palsolidarity.org/2010/12/16022/
http://palsolidarity.org/2010/11/15912/

ISM Gaza lancia un appello per una fine immediata degli attacchi israeliani contro i civili di Gaza, e chiede alla comunità internazionale di fare pressione su Israele affinchè ponga fine a questa mattanza e liberi dall’assedio la Striscia coi suoi un milione e mezzo di abitanti.

martedì 21 dicembre 2010

Tutti a scuola!

Altro pezzo sempre per Wake Up News

“[...] occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà [...]”

-Dal preambolo del Testo della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia dell’ONU-

Studentesse durante l'intervallo in una scuola di Beit Hannoun

Fori causati da una bomba caduta nei paraggi al muro di una scuola a Zaitun

Danno provocato da un proiettile nella scuola di Khan Younis

In questi giorni si parla molto di scuola -giustamente!-. Essa è, oltre che il luogo dell’apprendimento, palestra di vita. Rappresenta, in qualche modo, la prima esperienza importante all’esterno della famiglia. Anche nella striscia di Gaza.
Alle 3.30 della notte tra l’8 e il 9 dicembre una bomba è caduta in un’area vicina ad una scuola nel quartiere di Zaitun, vicino Gaza.
I vetri delle finestre della facciata che dava sul luogo dell’esplosione sono andati in frantumi a causa dello spostamento d’aria, ed il custode, che a quell’ora stava dormendo e per fortuna non ha riportato ferite, è rimasto intrappolato per qualche ora nella sua stanza, perchè, sempre a causa dello spostamento d’aria, la porta è stata danneggiata. Spiega: «Il laboratorio di informatica e la libreria sono state completamente distrutte, il danno totale stimato è di cento mila dollari. Alcuni esperti sono venuti ad analizzare i danni e sostengono che si tratti di un nuovo tipo di bomba che non lascia crateri, ma procura il massimo del danno sulla superficie».
I bambini fanno 2 turni nelle scuole delle striscia, uno al mattino ed uno nel primo pomeriggio, perché non ci sono abbastanza edifici per farli stare tutti nella prima parte della giornata. Entrambi i turni dei bambini che frequentavano questa scuola a Zaitun faranno “vacanza” per una settimana, ma appare difficile che in questo tempo sia possibile rimediare completamente ai danni, e, senza le finestre, quando soffia il vento fa freddo anche qui.
La preside di una scuola più a nord, nell’area di Beit Hannoun, racconta che quando i soldati israeliani iniziano a sparare, le bambine e le ragazze urlano terrorizzate. Qui siamo vicino alla no-go zone imposta dagli israeliani, a qualche centinaio di metri dal confine, è possibile vedere la rete elettrificata del confine dal tetto. La preside spiega che spesso, durante le lezioni, dal confine i soldati israeliani sparano, talvolta hanno un obiettivo specifico ma quando non ce l’hanno e sparano a caso nell’area vengono colpiti anche i muri della scuola, creando il panico. Quando ci sono queste azioni, gli alunni restano a scuola e non tornano a casa fino a che la situazione non si calma, per non rischiare di venire feriti. Le incursioni con i mezzi blindati nell’area di fronte alla scuola invece accadono circa una volta al mese, l’ultima è stata giovedì 9, ed anche questa ha creato paura e subbuglio nella scuola. «Se dovessi usare un’espressione per descrivere la nostra situazione qui direi: “teniamo la nostra anima nelle nostre mani”, perchè in qualsiasi momento chiunque può essere ferito. Un bambino è stato ferito vicino a questa scuola, ed una volta è capitato che entrando in una classe trovassi gli studenti stesi per terra e la maestra che li copriva con il suo stesso corpo perché avevano paura dei proiettili che entravano dalle finestre».
Insegnanti e studenti raccontano che due anni fa, poco prima dell’offensiva militare piombo fuso, i soldati israeliani si fossero posizionati con i carri armati all’esterno della scuola, siano entrati, abbiano portato tutti gli studenti da una parte e i docenti dall’altra, tenendoli rinchiusi per diverso tempo prima di lasciarli liberi. L’area tra il confine e la scuola è priva di ostacoli visivi, quindi i militari vedono perfettamente che stanno sparando ad una scuola.
Una bambina in terza elementare di fronte alla telecamera ha detto: «Abbiamo paura, facciamo gli incubi di notte. Noi siamo bambini, ed è proibito farci questo».
Vicino a Khan Younis, a sud della striscia, c’è un’altra scuola dove la situazione non è molto diversa.
Di mattina è una scuola statale femminile, mentre di pomeriggio è una scuola maschile dell’UNRWA. La preside della scuola del mattino racconta 2 episodi risalenti all’inizio del 2009 che ben descrivono la violenza dei soldati israeliani nei confronti di queste ragazze. Si tratta di 2 studentesse: una stava tornando a casa camminando nella strada di fronte alla scuola e quell’altra stava ascoltando una lezione. La prima è stata colpita al ginocchio da un proiettile, e ancora oggi non può fare lunghe passeggiate, e non riesce a piegare bene il ginocchio; mentre l’altra è stata colpita al naso da una scheggia causata dal foro di un proiettile sul muro della sua classe. La preside racconta come in entrambi i casi l’ambulanza abbia avuto delle difficoltà a raggiungere il luogo dell’incidente, perché per arrivare nell’area è necessario coordinarsi con le autorità militari israeliane, e spesso l’autorizzazione tarda ad arrivare.
I muri di questa scuola sono crivellati di fori, per lo più coperti dallo stucco, ma è difficile immaginare come possa essere seguire una lezione con il costante terrore che inizino gli spari. La preside: «Abbiamo la bandiera dell’ONU esposta sul tetto: perchè diavolo dei soldati devono sparare ad una scuola?»
Si dice che le esperienze che facciamo durante l’infanzia ed in gioventù siano determinanti nella formazione della personalità e che le scuole siano il primo luogo di socializzazione esterno alla famiglia, rappresentano infatti per i/le bambini/e la prima esperienza fuori dal nucleo familiare.
Ma quale personalità sono costrette a formare in questi territori? E quale mondo esterno alla famiglia viene proposto a questi/e fanciulli/e? E quale è la reazione della comunità internazionale?

domenica 12 dicembre 2010

360 meno 61

Il mi pezzo per wake up news.


Gaza - La striscia di Gaza copre un’area di trecentosessanta chilometri quadrati: di questi sessantuno delimitano una zona definita “ad alto rischio” da un un rapporto OCHA (between the fence and a hard place – agosto 2010), dove il “rischio” di cui si parla è, per i palestinesi, quello di essere attraversati da un proiettile israeliano.
L’area che segue il confine della striscia di Gaza, per una fascia di 300 metri di larghezza, è stata dichiarata unilateralmente “buffer zone” da Israele, ed Israele stesso impedisce attivamente ai palestinesi di entrarvi. In realtà, però, l’area ad alto rischio riconosciuta dal rapporto di cui si parla sopra arriva a 1000 – 1500 metri dal confine, ed in tutta quest’area vi sono azioni militari, incursioni e spari da parte di Israele. Essa comprende appunto il 17% del territorio della striscia e, soprattutto, il 35% delle terre coltivabili.
Sono numerosissimi i contadini costretti ad abbandonare i loro terreni. Racconta Jaber: “Quando si inizia a coltivare non arrivano subito, aspettano che sia ora del raccolto o, se sono stati piantati alberi, aspettano che siano abbastanza grandi per dare frutto. Allora gli israeliani arrivano con i carri armati e, in pochi minuti, distruggono il lavoro di mesi o anni giusto un momento prima che dia frutto”. Per questa ragione l’agricoltura nella buffer zone sta lentamente scemando, perché nessuno più permettersi di investire un un terreno che poi non da nessun frutto per troppi anni di seguito.
Alcuni contadini, nonostante questo, vi si recano ancora. L’ultimo che abbiamo visitato in ospedale si chiama Ahmad Sa’aed Qapeen, ha 21 anni, e la mattina del 9 dicembre stava raccogliendo patate con suo fratello Sultan a circa 1500 metri dal confine, all’interno del territorio di Gaza. Secondo la sua testimonianza un corpo speciale delle forze armate israeliane è entrato all’interno del territorio palestinese nei pressi di dove si trovava. Lui è scappato ma mentre correva gli hanno sparato all’altezza del ginocchio: il proiettile ha frantumato alcune ossa della gamba prima di uscire e colpire la gamba di suo fratello Sultan, fortunatamente senza procurare danni alle ossa in questo secondo caso. “Penso fossero nascosti in qualche posto nella zona. Quando li ho visti sono scappato terrorizzato”.


La gamba di Ahmad Sa’aed Qapeen scattata il pomeriggio del 9 dicembre
In questa foto si vede la gamba di Ahmad dopo l’operazione che ha fissato le ossa con l’ausilio di alcune barre di ferro. La storia di Ahmad Sa’aed Qapeen, poi, è emblematica anche per un’ altra ragione: tre dei suoi fratelli sono già stati bersagli degli israeliani. Mahmud è stato ferito nel 2004 durante un’incursione israeliana, aveva 18 anni; mentre Sultan era già stato ferito alla testa in maniera non grave durante l’offensiva militare Piombo Fuso.
A Ismael Sa’aed Qapeen, ferito il 30 novembre, sono state amputate 3 dita del piede sinistro; non era la prima volta che riceveva il fuoco israeliano e sono tante le cicatrici che lo dimostrano. Quel giorno Ismael si era recato vicino al confine per raccogliere pietre e macerie da rivendere frantumate come materiale edile, il cui ingresso è proibito dall’assedio. Sono numerosissimi i padri di famiglia, ma anche i ragazzi minorenni, che si recano al confine per raccogliere macerie: sebbene tutti siano coscienti del pericolo, in molti casi la mancanza di lavoro dovuta all’assedio non lascia alternative.
“Ero a circa 200 metri dal confine quando mi hanno sparato senza colpi di avvertimento. All’inizio non ho sentito nulla, ma dopo pochi secondi ho cominciato a sentire qualche cosa al piede, allora mi sono reso conto che mi avevano sparato. Ho perso conoscenza”. I suoi amici lo hanno soccorso, messo su un carretto e condotto fino ad un luogo raggiungibile dall’ambulanza, che poi lo ha trasportato fino in ospedale. Decine di lavoratori nell’ultimo mese sono stati colpiti dal fuoco israeliano: la famiglia Sa’aed Qapeen è solo un esempio.
 


Quindi, trecentosessanta chilometri quadrati sotto l’autorità di Gaza meno sessantuno “quasi” sotto l’autorità di Gaza. Sessantuno chilometri quadrati dove il diritto cessa di esistere. Perché appare chiaro che lo scopo di Israele sia quello di rendere deliberatamente difficoltosa la vita di civili, anche se questo va contro la legislazione internazionale, che dichiara crimine di guerra colpire civili, contro le risoluzioni internazionali, che definiscono la green line come confine.

venerdì 3 dicembre 2010

Ancora spari sui civili

 Questo è il video della manifestazione di mercoledì.




I 2 giorni prima dell manifestazione sono stati feriti 6 lavoratori costretti a recarsi al confine per guadagnarsi da viviere, il giorno dopo altri 3, nei giorni successivi altri 2, l'ultimo risale ad oggi.

Israele continua a sparare a civili disramati, anche se le convenzioni internazionali lo vietano.

Ed è normale, e non c'è nessuna reazione.


--------------------------------------

Ahmed fa il pescatore, Khalid e Mokles raccolgono pietre vicino al confine con Israele, e Mohammed fa il contadino. Sono tutti e 4 civili e vivono a Gaza.
Li abbiamo trovati in una stanza d'ospedale, con ferite di armi da fuoco.

Erano le 12.30 del 27 novembre.
Ahmed Mahmoud Jarboh ha 26 anni e fa il pescatore a Gaza. È da più di un anno che pesca nella stessa zona, quella vicino al confine nord della striscia, con una rete che viene tirata a riva da lui e 2 suoi compagni. È stato proprio mentre tirava a riva la rete che i soldati israeliani dalla torretta di controllo posta al confine gli hanno sparato alla gamba, inizialmente i suoi amici sono scappati e poi sono tornati indietro a prenderlo per portarlo all'ospedale, dove è rimasto diverse ore sotto osservazione.
La pesca è un'importante fonte di cibo per Gaza sotto assedio. Per chi esce in mare a pescare non è possibile allontanarsi dalla riva più di 3 miglia marine, anche se il limite ufficiale stabilito dall'ONU è di 20 miglia. Se i pescatori si allontanano da riva più di 3 miglia marine vengono sequestrati dalle navi da guerra israeliane e portati nelle carceri sioniste, oppure viene aperto il fuoco contro di loro. Di conseguenza l'area di mare immediatamente vicina alla costa contiene pochissimo pesce, e i pescatori sono costretti ad avvicinarsi al confine nord o sud per raggiungere un pezzo di mare dove sia possibile pescare in maniera redditizia.
Ahmed racconta: “Per più di un anno sono venuto qui tutti i giorni a pescare. I soldati dalla torre di controllo mi vedono sempre. Sanno che non sono altro che un pescatore! Non ci sono stati colpi di avvertimento, mi hanno sparato direttamente alla gamba. Ho 2 figli e sono l'unico in famiglia a lavorare: non abbiamo nient'altro a parte quello che guadagno dalla pesca.”

Lo stesso giorno, tra le 2 e le 3 di pomeriggio, le forze armate israeliane hanno sparato a Khalid Ashraf Abosita. Alle 6 di pomeriggio le sue condizioni apparivano ancora critiche: sebbene il proiettile avesse attraversato la gamba e ne fosse uscito, Khalid presentava una frattura scomposta della tibia ed un'emorragia interna ancora in corso. Tremava fortemente e non era in grado di comunicare, infatti è stato il fratello maggiore a raccontarci l'accaduto.
La buffer zone è una fascia larga 300 metri che costeggia il confine dalla parte palestinese della green line, è stata imposta da Israele e i palestinesi non vi possono accedere. Una porzione di terreno molto più vasta, larga da un chilometro ad un chilometro e mezzo sempre dalla parte palestinese della green line è definita ad alto rischio da un rapporto OCHA: in quest'area non sono infrequenti i proiettili israeliani che colpiscono palestinesi.
Khalid stava raccogliendo pietre e resti di materiale edile da macerie di case distrutte a 500 metri dal confine. L'assedio imposto da Israele con la complicità dell'Egitto impedisce al materiale edile di entrare a Gaza legalmente, ed esso è necessario per costruire o ri-costruire case ed edifici. Inoltre la disoccupazione è alle stelle, e questo spinge molte persone a raccogliere macerie vicino al confine anche se questo lavoro comporta rischi altissimi.
Racconta il fratello: “Khalid si è sposato 8 mesi fa, e sta cercando di fare famiglia. Questo era il suo unico ingresso ed ha lavorato in quest'area negli ultimi 7 mesi. Sono sicuro che i soldati lo riconoscessero, e gli hanno sparato senza colpi di avvertimento.”

Anche Mokles Jawad Al Masri stava facendo lo stesso lavoro quando gli hanno sparato. Ha solo 15 anni, va ancora a scuola ed è l'unico a lavorare nella sua famiglia, dove sono in 17. L'hanno colpito al polpaccio mentre si trovava a 500 metri dal confine, e secondo i dottori guarirà in 2 mesi. È successo alle 7 di mattina del 28 Novembre, nella zona di Beit Lahya, a nord di Gaza.
“A causa dell'assedio non ci sono molte altre possibilità per la mia famiglia per sopravvivere. A casa siamo 17 e io guadagno da vivere raccogliendo e vendendo sabbia. È pericoloso e guadagno solo 50 shekel (circa 10 euro) al giorno, ma è la sola cosa che posso fare per aiutare. Ho un fratello maggiore, che è all'ultimo anno della scuola superiore. Anch'io vado a scuola ma sono solo al nono anno: è ancora facile così ho più tempo libero di mio fratello. Lui deve concentrarsi a scuola per avere un buon voto finale, così non può trovare un buon lavoro.”

Mohamad Khalil Zanin, invece, fa il contadino e la sua famiglia ha un campo di ulivi. Mohammed ha 21 anni, suo padre ha avuto un attacco cardiaco ed ha metà del corpo paralizzato, e lui è rimasto l'unico a recarsi al campo di ulivi: deve mantenere 3 fratelli oltre ai suoi genitori. Gli hanno sparato mentre tornava a casa alle 10.30 del mattino del 28 Novembre. In ospedale, per guarire la brutta frattura, è stato necessario applicare 6 chiodi ed una protesi di ferro, che verranno tolti in alcuni mesi.
Secondo il rapporto dell'OCHA sopracitato circa il 35% delle terre coltivabili nella Striscia sono “ad alto rischio”: questo, in una situazione di assedio come quella di Gaza, significa incidere in maniera significativa sull'autosufficienza alimentare. L'attaccamento alla terra, sia come fonte di cibo che come rappresentazione delle radici culturali e familiari è fortissimo nella cultura Palestinese. L'ulivo in particolare ha un valore simbolico molto forte, perchè è una pianta resistente, ci mette diversi anni prima di dare frutto e sopravvive millenni.
“Credo di essermi trovato a 150 metri dal confine. È vicino, ma è la nostra terra. Abbiamo 100 ulivi di cui prenderci cura e questa settimana mi sono recato nel campo tutti i giorni: sicuramente i soldati mi hanno riconosciuto con le loro telecamere, non capisco perchè mi abbiano sparato. Ora non so cosa succederà, nessuno può andare alla terra a parte me, e non voglio nemmeno che i miei familiari rischino la loro vita.”

Secondo l'agenzia di stampa Ma'an oltre ai casi documentati il 27 novembre è rimasto ferito anche un ragazzo di dodici anni e il 28 novembre uno di vent'anni, entrambi mentre raccoglievano resti di materiale edile e pietre al confine.

Ferire o uccidere civili è definito dalle convenzioni internazionali crimine di guerra.
Ed è estremamente cinico non lasciare altra possibilità a dei lavoratori oltre a quella di andare vicino al confine per cercare di guadagnarsi il pane e poi sparargli contro.

Boicotta israele perchè spara ai civili.