Gaza - La striscia di Gaza copre un’area di trecentosessanta chilometri quadrati: di questi sessantuno delimitano una zona definita “ad alto rischio” da un un rapporto OCHA (between the fence and a hard place – agosto 2010), dove il “rischio” di cui si parla è, per i palestinesi, quello di essere attraversati da un proiettile israeliano.
L’area che segue il confine della striscia di Gaza, per una fascia di 300 metri di larghezza, è stata dichiarata unilateralmente “buffer zone” da Israele, ed Israele stesso impedisce attivamente ai palestinesi di entrarvi. In realtà, però, l’area ad alto rischio riconosciuta dal rapporto di cui si parla sopra arriva a 1000 – 1500 metri dal confine, ed in tutta quest’area vi sono azioni militari, incursioni e spari da parte di Israele. Essa comprende appunto il 17% del territorio della striscia e, soprattutto, il 35% delle terre coltivabili.
Sono numerosissimi i contadini costretti ad abbandonare i loro terreni. Racconta Jaber: “Quando si inizia a coltivare non arrivano subito, aspettano che sia ora del raccolto o, se sono stati piantati alberi, aspettano che siano abbastanza grandi per dare frutto. Allora gli israeliani arrivano con i carri armati e, in pochi minuti, distruggono il lavoro di mesi o anni giusto un momento prima che dia frutto”. Per questa ragione l’agricoltura nella buffer zone sta lentamente scemando, perché nessuno più permettersi di investire un un terreno che poi non da nessun frutto per troppi anni di seguito.
Alcuni contadini, nonostante questo, vi si recano ancora. L’ultimo che abbiamo visitato in ospedale si chiama Ahmad Sa’aed Qapeen, ha 21 anni, e la mattina del 9 dicembre stava raccogliendo patate con suo fratello Sultan a circa 1500 metri dal confine, all’interno del territorio di Gaza. Secondo la sua testimonianza un corpo speciale delle forze armate israeliane è entrato all’interno del territorio palestinese nei pressi di dove si trovava. Lui è scappato ma mentre correva gli hanno sparato all’altezza del ginocchio: il proiettile ha frantumato alcune ossa della gamba prima di uscire e colpire la gamba di suo fratello Sultan, fortunatamente senza procurare danni alle ossa in questo secondo caso. “Penso fossero nascosti in qualche posto nella zona. Quando li ho visti sono scappato terrorizzato”.
In questa foto si vede la gamba di Ahmad dopo l’operazione che ha fissato le ossa con l’ausilio di alcune barre di ferro. La storia di Ahmad Sa’aed Qapeen, poi, è emblematica anche per un’ altra ragione: tre dei suoi fratelli sono già stati bersagli degli israeliani. Mahmud è stato ferito nel 2004 durante un’incursione israeliana, aveva 18 anni; mentre Sultan era già stato ferito alla testa in maniera non grave durante l’offensiva militare Piombo Fuso.
A Ismael Sa’aed Qapeen, ferito il 30 novembre, sono state amputate 3 dita del piede sinistro; non era la prima volta che riceveva il fuoco israeliano e sono tante le cicatrici che lo dimostrano. Quel giorno Ismael si era recato vicino al confine per raccogliere pietre e macerie da rivendere frantumate come materiale edile, il cui ingresso è proibito dall’assedio. Sono numerosissimi i padri di famiglia, ma anche i ragazzi minorenni, che si recano al confine per raccogliere macerie: sebbene tutti siano coscienti del pericolo, in molti casi la mancanza di lavoro dovuta all’assedio non lascia alternative.
“Ero a circa 200 metri dal confine quando mi hanno sparato senza colpi di avvertimento. All’inizio non ho sentito nulla, ma dopo pochi secondi ho cominciato a sentire qualche cosa al piede, allora mi sono reso conto che mi avevano sparato. Ho perso conoscenza”. I suoi amici lo hanno soccorso, messo su un carretto e condotto fino ad un luogo raggiungibile dall’ambulanza, che poi lo ha trasportato fino in ospedale. Decine di lavoratori nell’ultimo mese sono stati colpiti dal fuoco israeliano: la famiglia Sa’aed Qapeen è solo un esempio.
Quindi, trecentosessanta chilometri quadrati sotto l’autorità di Gaza meno sessantuno “quasi” sotto l’autorità di Gaza. Sessantuno chilometri quadrati dove il diritto cessa di esistere. Perché appare chiaro che lo scopo di Israele sia quello di rendere deliberatamente difficoltosa la vita di civili, anche se questo va contro la legislazione internazionale, che dichiara crimine di guerra colpire civili, contro le risoluzioni internazionali, che definiscono la green line come confine.
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