Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


sabato 29 ottobre 2011

L'abitudine e l'insonnia

Qual'è la cosa che mi fa più paura di Gaza? L'abitudine.
L'abitudine alle bombe, l'abitudine agli spari. L'abitudine ai droni ed agli f16, l'abitudine alle menzogne sioniste.

Oggi eravamo in riunione, con gli stessi che portavano avanti lo sciopero della fame per i prigionieri a Gaza (in arrivo importanti novità...ma ancora non sono ufficiali...ssstt!) e ci ha telefonato un amico dicendo che 5 uomini erano stati uccisi in un bombardamento a Rafah. Ci siamo fermati un momento, abbiamo ascoltato la radio (o meglio hanno ascoltato la radio, perchè io l'arabo non lo capisco), ed hanno capito che i morti provenivano da dei campi di addestramento della resistenza. Tra i morti c'erano anche alcuni leader. C'erano anche dei feriti. Succede, hanno bombardato, sono morte delle persone che avrebbero voluto difendere la loro terra. Allora, alcuni degli amici di questi assassinati hanno lanciato dei missili (quelli artigianali, questi che si riescono a fare qui a Gaza) verso una qualche città israeliana. Tre feriti, forse, nessuno grave. E, come qui è normale, i media sionisti hanno urlato all'attacco da parte dei pericolosi terroristi verso Israele. Allora, Israele “attaccato”, ha dovuto difendersi, come no! Abbiamo sentito un boom anche da casa nostra. Ho saputo che stavano bombardando tutta la striscia. Ho letto che sono morte altre due persone a Rafah, sono state portate all'ospedale Najjar a pezzetti. Ed è stata ferita, in mezzo ad altri 20, una bambina di 12 anni.

Ma siamo a Gaza, è normale. Qui la vita non vale nulla. Qui siamo tutti pericolosi terroristi. Per chi è nato e cresciuto qui, è sempre stato così.

Mentre scrivo il suono dei droni continua a ronzare sopra la testa, ed anche questo è diventato un suono normale. C'erano notti in cui mi addormentavo, qualche tempo fa, pensando “perfavore, drone che ronzi nelle orecchie, perfavore, questa notte non uccidere nessuno...o almeno nessuno che mi sia capitato di incontrare!” Ora, quasi, sembra il suono di un go-cart da quanto è forte. Radhika voleva dormire, non ci riesce perchè il rumore dei droni è troppo intenso. È uscita di camera sua esclamando: “Ma perchè oggi fanno un suono così forte?!? Ma cosa stanno facendo? Ma perchè in questa zona? Perchè così bassi? Non riesco a dormire!” Tutta Gaza è pervasa dallo zzzz delle zannane, come chiamano qui i droni. E buona parte di Gaza, probabilmente, questa notte soffrirà d'insonnia.

Ieri pomeriggio i soldati israeliani ci hanno sparato contro dalle torrette di controllo, a Khuza'a. Stavamo camminando su una strada normale, con un gruppetto di bambini. Era la strada che i bambini percorrono tuuti i giorni per andare e tornare da scuola. Di solito in quella strada i sionisti non sparano. L'avrò percorsa un centinaio di volte, non è mai successo nulla. Non succede nulla per cento volte, e alla centounesima sparano. E sparano anche se ci sono i bambini. E i bambini non si scompongono...si appiattiscono al suolo per qualche minuto, e poi tornano indietro e scelgono un'altra strada per tornare a casa. Qui funziona così. Sanno che i soldati sionisti alle torrette possono decidere della loro vita...è sempre stato così. Per cento volte si passa tranquillamente, si può andare e tornare da scuola. La centunesima sparano e colpiscono al ginocchio per esempio l'allora quattordicenne Wafa', che stava solo tornando a casa dopo le lezioni, due anni fa. “Loro” sono li, sono sempre stati li. E per tutta la loro vita, questi futuri uomini e donne palestinesi hanno sempre saputo che, dalle torrette, un soldatino biondo può decidere se piantargli un proiettile in corpo oppure no. E, davvero, la cosa più terrificante è che questo, qui, è normale.

I carcerieri israeliani avevano promesso che avrebbero smesso di mettere in isolamento i prigionieri, che anche Akhmad Sa'adat sarebbe stato in una cella qualunque, con altri detenuti. Non ti fidare mai di un sionista. Da ieri Sa'adat è in isolamento per un altro anno, ecco, anche questo è normale. “Loro” possono mentire, e loro mentono perchè loro possono. 

Ricordo un'amica gazawa che quest'estate è riuscita ad andare in Europa, con una borsa di studio di qualche settimana. Mi ha detto che la cosa più strana era riuscire a muoversi per esempio da Bruxelles a Parigi senza trovare check point, senza che nessuno ti fermasse. “Voi in Europa potete andare ovunque, è incredibile!”

Io lo so che c'è un altro mondo fuori. Che la vita vale più di una pallottola di un cecchino. Che non è vero che ovunque ci sono le bombe, che non è vero che ovunque ci sono i check point, che non è vero che per forza se vai a scuola devi essere sotto tiro continuo di un'arma da una torretta di controllo... Però qualcuno non lo sa. Qualcuno, da qui, non è mai uscito. E pensa che questo sia l'unico mondo possibile. E ci fa l'abitudine.

Voi laffuori lo sapete che questo non è l'unico mondo possibile. Perfavore, non fateci l'abitudine.

Questo è il suono dei droni (grazie a Ruqaya che lo ha registrato). Qui, probabilmente, soffriremo d'insonnia a causa di questo ronzio. E voi, per che cosa soffrirete d'insonnia?

Premio Paolo Borsellino a Vik. Un ricordo da Gaza.


Oggi Egidia Beretta, la mamma di Vittorio, è andata a ritirare il premio Paolo Borsellino, che quest'anno è stato assegnato a suo figlio. Sul sito ufficiale è possibile leggere che “Il premio intende testimoniare ammirazione, gratitudine ed affetto a quelle personalità italiane che hanno offerto una testimonianza d’impegno, di coerenza e di coraggio particolarmente significativa nella propria azione sociale e politica contro la violenza e l’ingiustizia, ed in modo particolare per l’impegno profuso in difesa e per la promozione dei valori della libertà, della democrazia e della legalità.”

Qui a Gaza Vittorio viene ricordato come un amico e come un fratello, e la sua memoria rimarrà indelebile nei cuori di questa gente. In tanti lo consideravano un membro della loro famiglia, in troppi si sono sentiti come se fosse morto un loro fratello. Per questo, oggi, vorrei dare voce ai suoi amici, a chi da Gaza ha deciso di ricordarlo, a chi, alla notizia dell'assegnazione del premio, ha pensato fosse bello mandare un messaggio in sua memoria. I messaggi sono molto diversi tra loro, come le persone che li mandano: ve li riporto così come sono, senza la pretesa di dare un quadro completo di “cosa Gaza pensa di Vittorio”, ma con la volontà di dare voce a chi vorrebbe comunicare con amici e parenti di un uomo che vedevano come un fratello.


Il dottor Ala è medico all'ospedale Al Auda, ha lavorato al fianco di Vik durante piombo fuso, Vik sulle ambulanze e lui dentro l'ospedale. Anche dopo la fine del massacro l'attivista ha continuato a contattarlo per curare malati di Gaza. O semplicemente per cenare assieme e passare qualche momento rilassato in compagnia. Queste sono le sue parole:

Vittorio aveva dei muscoli potenti, ma li usava solo per giocare con i bambini. Era grande e grosso, ma aveva il cuore di un bambino. Era un eroe nell'evacuare i palestinesi feriti durante la guerra. Esponeva se' stesso al pericolo, pur di difendere pescatori e contadini dalle aggressioni di Israele.
Anche quando aveva i calcoli ai reni aveva fretta di unirsi agli agricoltori per proteggerli: aveva superato il dolore per aiutarli. Conosceva le strade di Gaza e dintorni meglio degli stessi abitanti del posto che sono nati qui.

Cinque giorni prima che Vittorio morisse gli dissi di tornare a casa perchè suo padre che era malato aveva bisogno di lui, lui rispose che Gaza aveva bisogno di lui più di suo padre. Mi disse: “voglio molto bene a mio padre, ma lui ha un paese e servizi a disposizione, mia madre e mia sorella sono con lui...qui a Gaza siamo troppo pochi”.

Vittorio è una candela che brucia per illuminare il cammino di altri. Riposa in pace ribelle italiano! Sei il Che Guevara del 21° secolo...i palestinesi non ti dimenticheranno mai. Con amore a te, nostro caro amico, alla tua famiglia ed ai tuoi amici italiani.



Saber è leader della “local initiative Beit Hannoun”, organizzava le manifestazioni al confine di cui Vik raccontava sempre.

Su questa terra c'è qualcosa per cui valga la pena vivere”

Si può dedicare la propria vita alla dignità umana, alla libertà, in difesa del nostro stesso essere “umani”, ed è questo che Vittorio ha sempre fatto. Egli ha lottato stando dalla parte degli oppressi contro l'oppressione qui nei territori palestinesi occupati, terra di pace e luogo natale di Gesù (pace a lui).
Dando la sua voce per la giustizia, Vittorio ha sempre difeso i diritti umani e cercato di trasmettere al mondo le sofferenze di un intero popolo.

Nonostante la morte del nostro amato, tantissimi giovani di Gaza stanno portando avanti il suo messaggio e la sua cultura, continuando questa lotta e seguendo il suo cammino di libertà ed indipendenza.

Un'ultima parola: “prima di pensare qualsiasi cosa, ricordati che sei un essere umano”

Il nostro messaggio dalla terra di Oliva, dove la libertà e la giustizia portano alla pace.



Taraji non ha avuto il piacere di conoscere approfonditamente Vik. È una delle tante e dei tanti che lo hanno incrociato per poche decine di minuti, ma lo ricorda vividamente.

È entrato in questa casa e si è seduto con noi, alla pari. Ci ha ascoltate, ha ascoltato la nostra sofferenza. E come con noi, ha ascoltato ed aiutato tutti quelli che ha potuto qui a Gaza, aveva certamente una forte umanità.
Vorrei dire a sua madre che deve andare orgogliosa di suo figlio, vorrei avere l'onore di conoscere una donna così...e le auguro una vita felice!




Jabur è un contadino, vive a Faraheen. Parte della sua casa è stata distrutta in un'incursione, Vik con altri ISM all'epoca ha abitato li per un certo tempo. La terra che Jabur coltiva si trova a poche centinaia di metri dal confine, ed è uno dei contadini che anche Vik accompagnava durante le “farming actions”.

In nome di Allah il misericordioso

Vik l'eroe che ha lottato per la Palestina

Che bei momenti abbiamo passato insieme, fratello Vittorio! Se gli occhi non ti vedono più, il cuore non ti dimentica. Dicevi che nella vita ci sono molte cose per cui ridere, e davvero i momenti passati con te sono tra i più gioiosi. Pensavo che la morte fosse lontanissima per te, non me lo aspettavo, però è successo. Così voglio dire alla tua gente: “Non cambiate idea riguardo noi palestinesi. Vi posso assicurare che Vik è dentro ogni goccia del mio sangue. Saluto e rispetto sua madre, e le dico, mentre nasconde le lacrime dietro un sorriso, che suo figlio non è morto, che è qui dentro di noi, siamo tutti suoi figli, figli che non ha mai partorito. Vorrei abbracciare sia lei che il padre di Vittorio, vorrei essere loro vicino in questo momento.”




Shahd è una giovanissima blogger ed artista di Gaza. Stava realizzando un ritratto di Vik nel periodo in cui è stato ucciso, lo ha terminato dopo la sua morte.
È l'immagine in testa a questo post.

Il terzo giorno del tuo funerale, tua madre ha fatto una chiamata in diretta con noi, ho tradotto il suo messaggio in arabo. Tua madre è grande come te. Ci siamo uniti nel dolore per questa perdita, e riuscì a fare in modo che l'Italia e Gaza cantassero assieme uniti in una sola voce "Bella Ciao".

Mio caro Vik, voglio che tu sappia che ci hai lasciato nel corpo ma l'anima vivrà con noi per sempre. Voglio essere sicura che tutti coloro che credevano in te e nella causa palestinese continuino a seguire il tuo percorso. Vorrei che tu sapessi che sei il nostro eroe, puramente umano. “Restiamo umani”, è così che sei stato tutto il tempo ad ogni passo che hai compiuto. Vittorio, sei il vincitore, tu sei il sognatore che non si arrende mai, così, mio caro amico, possa tu riposare in pace.




Eba'a è una blogger di vent'anni. Era molto amica di Vik, ed ha tatuata sui polsi la sua frase “restiamo umani”.

Ancora oggi per me è difficile fare i conti con l'assenza del corpo materiale di Vik tra noi. È appunto per fare in modo che lui sia sempre ed ovunque con me che ho deciso di tatuarmi le sue parole, che sono di ispirazione per tutta Gaza “Restiamo Umani” sui polsi. Il suo messaggio era così chiaro e puro, la sua vita votata alla giustizia, libertà ed uguaglianza. Siamo tutti non solo suoi amici, ma anche suoi allievi: abbiamo imparato tanto da lui. Non era solo un combattente per la libertà (freedom fighter) ma anche un vero amico, di quelli che vorresti sempre avere al tuo fianco nel momento del bisogno. Era pieno di amore, tutto l'amore che ha ricevuto qui a Gaza. “loro” pensavano fosse un corpo, che fosse possibile ucciderlo: non avevano capito che è un'idea che non morirà mai.
Era umano.



Mahfuz è un pescatore, è anche il presidente dell'associazione dei pescatori e degli sport marini, insieme a Vik organizzava gli accompagnamenti in mare. Lui, come tutti i pescatori di Gaza, conserva un ricordo vivissimo di Vik.

Le parole non possono descrivere i sentimenti per il nostro caro amico Vittorio. Hai avuto una vita breve ma sei stato molto generoso. Il tuo messaggio è stato lanciato a tutte le persone oneste, tu eri e sei ancora la voce della giustizia, della pace attiva, hai combattutto contro la povertà e l'ingiustizia. Il tuo nome è stato scritto con inchiostro d'oro nella storia, riposa in pace Vittorio, i tuoi genitori ed i tuoi amici dovrebbero essere orgogliosi di te!
Ci manchi tantissimo ma il tuo esempio rimarrà di ispirazione per noi.



Ayman è un rapper, il primo rapper di Gaza. I soldati israeliani hanno ucciso suo padre di fronte ai suoi occhi durante piombo fuso. Si sedeva spesso, la sera, al Gallery (un bar di Gaza) a fumare il narghilè o semplicemente a chiacchierare con Vittorio. Così è come lo ricorda:

Ci sono due tipi di persone, quelli che muoiono e quelli di cui muore solo il corpo. Ricordo ancora ogni momento speso con lui, tristezza, frustrazione, e mancanza di speranza per il futuro, però continuo a cercare di sorridere perchè voglio essere quello che lui avrebbe voluto da me:
Un essere umano libero, con dignità e fiero di esserlo”.
Dio benedica la sua anima.
Restiamo Umani.


Per alcuni degli amici di Vik scrivere riguardo lui è ancora difficile, talvolta, sapete, le parole sembrano sempre inadatte. In molti, molti altri che non hanno avuto voce in queste poche righe qui lo ricordano col cuore.





venerdì 28 ottobre 2011

Escalation a Khuza'a

Testimoni parlano di un'escalation delle aggressioni israeliane nella zona di Khuza'a – Abasan, governatorato di Khan Younis, striscia di Gaza.

Questa mattina, dalle 7.30 alle 8.30 c'è stata un'incursione di carri armati israeliani in territorio palestinese che si sono mossi dal territorio di Faraheen a quello di Khuza'a. Si sono uditi anche numerosi colpi di proiettile. Suzanne, che vive nel nord di Khuza'a, ha confermato che negli ultimi giorni i carri armati sionisti entrano al di qua delle recinzioni un giorno ogni due, e che i giorni in cui non entrano in territorio palestinese comunque pattugliano il lato israeliano. Anche Taragi dal sud di Khuza ha confermato che nell'ultimo periodo gli spari si sono fatti più insistenti.

Due attiviste ISM (io e Radhika) oggi alle 4.30 stavano camminando sulla strada che porta alla scuola del villaggio di Khuza'a, ad una distanza di circa 500 metri dal confine, il luogo era popolato da bambini e ragazzi, alcuni a piedi ed altri in un carretto trainato da un asino. Stavano semplicemente percorrendo la strada per andare a casa. Senza preavviso di alcun tipo, e senza alcun colpo di avvertimento, dalla torre sionista a controllo remoto sono partiti due colpi di arma da fuoco, sufficientemente vicini alle teste di chi camminava tranquillamente per la strada da sentire distintamente e forte il sibilo del proiettile che attraversava l'aria.

Khuza'a è un piccolo villaggio principalmente di contadini, e l'area che lo circonda non è nuova ad attacchi ed incursioni da parte dei sionisti. La scuola in particolare si trova a poche centinaia di metri dal confine e spesso i bambini sono costretti a tornare a casa a causa degli spari. C'è un caso, ad esempio, di una ragazza che ha perso la rotula a causa di un proiettile sionista mentre stava camminando per tornare a casa da scuola. Fino a dieci anni fa in quest'area c'erano numerosi alberi da frutto e la terra veniva coltivata rendendo piuttosto bene. Oggi viene coltivato principalmente grano, perchè non chiede tanta attenzione e quindi non rende necessario recarsi sul posto di frequente; infatti spesso anche i contadini vengono attaccati.

Khuza'a ha sofferto le peggiori atrocità durante l'attacco terrorista israeliano denominato piombo fuso. La maggior parte della popolazione è stata costretta ad abbandonare il villaggio per recarsi in luoghi più sicuri, ha subito pesanti attacchi al fosforo bianco, sono stati deliberatamente bombardati ed uccisi civili durante il cessate il fuoco, sono state uccise donne che dopo giorni di assedio in casa si presentavano all'uscio con una bandiera bianca.

Racconto di un prigioniero deportato a Gaza


Loay Auda, nelle carceri israeliane dal 2002, è stato liberato durante l'ultimo scambio. Originario di Gerusalemme, è stato deportato a Gaza.

Il racconto dell'arresto inizia con le parole dalla madre, umm Izrod: “Era il 5 aprile del 2002, durante la seconda intifada. Mio figlio mi ha chiamata dicendo che finalmente potevamo incontrarci, potevo riabbracciarlo, vedere come stava. Era nascosto da 9 giorni a Ramallah, dove c'era il coprifuoco, perchè era ricercato dalle forze di occupazione sionista. In quegli interminabili 9 giorni non lo ho mai sentito, così siamo riusciti a trovarci in una casa di mia sorella, che lei non usava perchè era andata ad abitare altrove. Ci siamo seduti, abbiamo cucinato patate fritte e bevuto il caffè, poi Loay si è fatto una doccia, dato che da nove giorni non riusciva a farla, poi eravamo stanchi e siamo andati a dormire”. Sembra tutto tranquillo, finalmente una serata normale, ma non è così: “alle due di notte ho sentito dei rumori. Ho pensato fossero le pattuglie che controllavano il rispetto del coprifuoco, ma poi ho sentito i soldati che ci chiamavano con i nostri nomi: “venite fuori con le mani alzate” dicevano. Ho provato a svegliare mio figlio “alzati, alzati, ti stanno venendo a prendere!” e lui non si svegliava, chissà da quanti giorni non riusciva a dormire bene. Da fuori continuavano a chiamare i nostri nomi e cognomi. Lo ho svegliato con più energia, eravamo completamente circondati, non saremmo mai riusciti a scappare. I soldati tiravano pietre alle finestre, continuavano a chiamarci e noi non rispondevamo. Abbiamo cominciato a parlare dell'arresto, ci dicevamo l'un l'altra: “dobbiamo essere forti e non parlare, non dire nulla. Anche se ci tortureranno, dovremo resistere.” Ad un certo punto, in quella baraonda ci siamo trovati anche a scherzare e a prenderci in giro... Attorno a noi i sionisti avevano un gran dispiegamento di mezzi: elicotteri, carri armati, bulldozers... sembrava quasi che ci stessero per bombardare!”

“Alle 6.30 abbiamo sentito aprirsi la porta di casa. Erano andati a casa di mia sorella a prendere le chiavi, ed avevano usato i suoi figli come scudi umani per aprire la porta.” Evidentemente, l'uso di bambini come scudi umani non è una novità di piombo fuso ma una pratica consolidata. “Sono uscita, ed ho cercato di tenere impegnati i soldati, mi dicevano di chiamare mio figlio, io non volevo venisse perchè ero convinta che se fosse uscito gli avrebbero sparato.” Quando lui è uscito, la madre, terrorizzata, ha cercato di proteggerlo dai soldati con il suo corpo. I soldati si sono arrabbiati: “sono cinque ore che vi chiamiamo, che vi intimiamo di uscire, cosa siete, sordi?”.

“Hanno preso mio figlio e lo hanno messo sul marciapiede per interrogarlo. Io gli ho portato prima le scarpe e poi le sigarette, i soldati mi insultavano. Era completamente buio, per strada c'erano solo le forze dell'occupazione a causa del coprifuoco, ma vedevo i vicini che spiavano dalle finestre. Ho detto a mio figlio: “Tu sei il più grande. Li vedi tutti questi cani che ti circondano? Non valgono quanto la suola della tua scarpa. Resta forte che ti rilasceranno”. Lui mi ha risposto: “mi rilasceranno solo da vecchio” ed un soldato è intervenuto “spero che tu muoia prima di essere liberato”. Gli hanno messo la benda agli occhi e mi hanno chiamata per baciarlo l'ultima volta, lo hanno caricato sulla jeep ed è partito.”

Da questo punto in poi è Loay a raccontare come sono andate le cose. Sulla strada per la prigione la jeep si è fermata e lo hanno fatto scendere. Lo hanno tempestato con una pioggia di domande, minacciandolo di vendicarsi su sua madre (accusata di aiutare un “terrorista”) se non avesse parlato, e sfruttando il momento di possibile fragilità psicologica dell'arrestato. “Ad un certo punto mi hanno sollevato la benda e slegato mani e piedi -racconta- per vedere se fossi scappato. Se lo avessi fatto mi avrebbero sparato, ed io lo sapevo, quindi sono rimasto fermo.”

Il primo perido di detenzione, quello del cosiddetto “interrogatorio” è probabilmente il momento peggiore per ogni detenuto. Vengono applicate torture psicologiche e fisiche per cercare di ricevare informazioni sulle attività dei detenuti stessi ed anche su altre persone. L'interrogatorio di Loay è durato 55 giorni e si è svolto a Gerusalemme, nel carcere di Mascobyya, una ex chiesa russa occupata e sfruttata per gli interrogatori.
“Ero accusato di qualsiasi cosa, era durante la seconda intifada, stava succedendo di tutto. Volevano estorcere informazioni non solo riguardo le mie attività ma anche riguardo i miei compagni. Le torture erano più psicologiche che fisiche. I sionisti avevano imparato che se ci torturavano fisicamente rimanevano le prove, mentre le torture psicologiche erano più difficili da provare. Ci minacciavano di arrestare membri della nostra famiglia. Ci facevano stare legati ad una sedia per giorni consecutivi. Ci facevano stare legati in stanze con musica altissima.”

Loay è stato trasferito moltissime volte: all'inizio era rinchiuso ad Askalan, poi Beid Sheba, poi Ramla, poi Ashkaron, Gelboa, Shatta ed infine di nuovo Gelboa. “In carcere ci organizzavamo” racconta “i componenti di ciascun partito sceglievano un portavoce, ed i portavoce discutevano la strategia da adottare in maniera unitaria. Nessuno era autorizzato a parlare con i carcerieri eccetto colui a cui collettivamente si aveva dato quell'incarico”. Racconta che in carcere i prigionieri dovevano soppostare le violenze dei poliziotti, perquisizioni umilianti, punizioni collettive, giorni di isolamento se si fossero violate le regole. C'era solo un'ora o due di aria al giorno, le visite delle famiglie spesso erano proibite, il cibo era poco e la dieta non era salutare.

Ha partecipato all'ultimo sciopero della fame, e questo è il suo racconto in proposito: “La nostra richiesta principale riguardava la fine dell'isolamento. Chi era in isolamento veniva rinchiuso in una cella piccolissima da solo, l'ora d'aria, quando c'era, si faceva ad orari strani, lontani dagli altri carcerati e comunque legati. Dopo due anni in questa situazione le ripercussioni psicologiche sui detenuti cominciano a diventare davvero gravi. In quel momento più di 30 prigionieri si trovavano in isolamento, per periodi che andavano da un anno a 13 anni; 10 o 15 di questi erano in isolamento per lunghi periodi. Akhmad Sa'adat era al terzo anno di isolamento e la sua salute psicologica e fisica si stava deteriorando. Prima facevamo qualche breve sciopero, un paio di giorni al massimo, ma era venuto il momento di andare fino in fondo. La situazione poi era peggiorata anche dalla cattura del soldato Shalid, ci attaccavano di più per cercare di fare più pressione per il suo rilascio. Non potevamo studiare, non ci concedevano libri. Era venuto in somma il momento di farsi sentire. Ci eravamo organizzati per un'escalation delle proteste. All'inizio sono partiti a scioperare in 70-60, poi a questi ogni settimana si aggiungevano altre persone. Per esempio io mi sono aggiunto l'ultima settimana, col gruppo più grosso, c'erano già 420 persone e noi eravamo 300.” Lo sciopero non era ristretto al cibo, c'era anche una forma di non collaborazione dei detenuti verso i sionisti: “Avevamo smesso di collaborare alla conta, tutti insieme non ci alzavamo più in piedi quando era il momento, e per questo ci avevano privato in quel periodo di qualsiasi visita di famigliari o avvocati.” Nella carceri israeliane i prigionieri vengono contati più di una volta al giorno, quando passa il carceriere sono costretti a stare in piedi di fronte all'ingresso della cella, in condizioni normali se si rifiutano vengono puniti con percosse o con qualche giorno di isolamento.
Racconta che la repressione dello sciopero da parte dei carcerieri non era cosa di poco conto: “I sionisti non ci avevano lasciato nulla se non l'acqua, eravamo riusciti a nascondere il sale in alcuni interstizi dei letti, ma sono arrivati con l'acqua e lo hanno sciolto tutto. Ci avevano sequestrato i vestiti pesanti, e questo era problematico perchè durante lo sciopero della fame si sente più freddo del solito. Durante lo sciopero continuavano a trasferirci da una cella all'altra, da una prigione all'altra. Tre volte al giorno i soldati entravano e perquisivano le celle da cima a fondo, lasciando tutti i notri beni personali in centro alla stanza. Così noi, già debilitati dal digiuno, tre volte al giorno dovevamo raccogliere le nostre cose e rimetterle a posto. Ci hanno privato delle bottiglie, così quando dovevamo bere potevamo farlo solo andando tutti allo stesso rubinetto. Continuavano a raccontarci che nelle altre prigioni diversi compagni avevano mollato lo sciopero, ma sapevamo che non era vero.”

Gli ho domandato come avesse saputo che sarebbe stato liberato. Ha spiegato che si trovava in isolamento da qualche giorno come punizione perchè stava scioperando, e quindi non sapeva nulla dello scambio. “Sono uscito dall'isolamento e mi hanno detto che sarei stato liberato l'indomani. Non ci credevo, ero shockato, perchè in cella con me c'erano persone che erano dentro da più tempo e che avrebbero avuto la priorità. C'erano li con me persone che erano dentro da 27 anni e non erano state incluse nell'accordo.” Continua raccontando l'atteggiamento dei sionisti nei loro confronti alla luce di questo scambio. “I nomi di chi era incluso nell'accordo non erano chiari. I carcerieri si divertivano a giocare con i nostri nervi: un giorno arrivavano dicendo che eravamo liberi, ed il giorno dopo arrivavano dicendo che saremmo rimasti dentro. Non ho avuto la certezza di essere rilasciato fino a 10 minuti prima, quando sono venuti a prendermi. Anche quando venivano a prendere le persone per liberarle si divertivano a non farci sapere nulla: passavano in una cella, chiamavano uno e dicevano “vieni con noi”, senza dire dove lo portavano, poi tornavano, chiamavano un altro e dicevano “vieni con noi”. Fino all'ultimo momento non era chiaro quali nomi fossero inclusi nella lista.”

Loay, originario di Gerusalemme con altri 162 originari della stessa città o della West Bank, è stato deportato a Gaza. Sua madre e qualche fratello sono riusciti a venirlo a trovare perchè, proveniendo da Gerusalemme, hanno potuto attraversare il confine tra l'entità sionista e l'Egitto. Altre persone deportate dalla west bank non possono nemmeno essere visitate dalla famiglia. Spiega Loay: “Tra un anno 18 di noi potranno tornare nella west bank. Tra due anni altri 18. 55 potranno tornare a casa tra 10 anni e tutti gli altri, tra cui me, non hanno una data per il ritorno a casa, forse non potremo tornare mai.”

Loay è entusiasta del fatto che 1027 prigionieri siano stati liberati: “Questo scambio è stato un'occasione fantastica. Quando sei in carcere anche solo 5 compagni liberati significano tantissimo per te. Immagina la gioia nel sapere che 1027 verranno rilasciati! Questa è una vittoria anche per chi sta dentro, i miei compagni ancora in carcere sono riusciti a comunicarmi che sono felici che io sia fuori.” e poi lancia un appello: “Chiedo agli uomini e donne che stanno fuori dal carcere di pensare alla questione dei prigionieri come una questione unitaria, lontana dalla logiche di partito. Chiedo, in quanto essere umano, di fare appello alla vostra umanità perchè facciate pressione per la questione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.”

giovedì 20 ottobre 2011

Grazie.


Oggi la tenda a Gaza in solidarietà ai prigionieri in sciopero della fame non c'è più. E non c'è più perchè le richieste degli scioperanti sono state tutte -almeno a parole- accolte dai sionisti. Hanno promesso la fine della pratica dell'isolamento. Hanno promesso che saranno accettati in prigione libri e riviste, che saranno autorizzare le visite dei familiari anche per i prigionieri provenienti da Gaza. Che le mani ed i piedi dei detenuti non saranno legati durante le visite, anche quelle degli avvocati. Che si potrà studiare in carcere. Che si potranno vedere anche i canali palestinesi alla televisione. Ieri, anche i pochissimi che nelle carceri non avevano osservato la pausa dello sciopero della fame hanno smesso di digiunare.
Certo, per ora sono solo parole. Se i sionisti non manterranno la parola data, domenica si tornerà a scioperare. Ma per ora, possiamo dire di avere una vittoria, almeno parziale.

E questa, ragazz*, è una vittoria collettiva, di tutt* noi. È la vittoria di chi ha scelto di fare i sit in. È la vittoria di chi ha scelto di non mangiare. È la vittoria di chi ha deciso anche semplicemente di parlarne con gli amici, o via internet, di fare informazione. È la vittoria di chi ha deciso di non comperare prodotti israeliani. È la vittoria del centropace Ivrea, che ha organizzato uno sciopero della fame per il 17. È la vittoria del presidio dell'associazione ISM-italia, è la vittoria dei sit in a Roma delle rete romana Palestina ed altri, di quelli di Udine... È la vittoria, soprattutto, di tutti coloro che anonimanente e senza sigle hanno dato il loro contributo. È necessaria una grande forza per riuscire ad agire e mettere il proprio nome senza dover fare riferimento ad una qualche sigla, o partecipare ad inutili giochi di potere. Il fatto di non mettere sigle sta a dimostrazione della volontà di agire per il popolo palestinese, senza nessun tornaconto personale. Rispetto ed apprezzamento per chi lo ha fatto.

Qualche mese fa, qualche settimana dopo la morte di Vik, mi è capitato di parlare con un signore anziano del Fronte, il quale mi diceva che secondo lui, dopo l'assassinio, avrebbero impiegato altri 60 anni per riuscire a fare in modo che gli attivisti italiani stessero di nuovo dalla parte dei palestinesi, era convinto che essi pensassero pensassero che i palestinesi fossero tutti assassini. Io gli ho spiegato che in realtà in Italia gli attivisti stavano dicendo che avrebbero continuato quello che Vik aveva iniziato, che stavano organizzando manifestazioni e convogli. E questo signore è rimasto senza parole, poi ha cominciato a dire shukran, grazie. L'ha ripetuto tante volte: shukran, grazie. Quel grazie non era rivolto a me, ma a tutti voi, a tutti noi.

Già ve la avevo scritta, ma vi copio qui parte di una lettera di un carcerato dentro Israele, durante lo sciopero. Lui dice: “Saluto e ringrazio il mondo arabo ed il movimento internazionale di solidarietà, perchè sono con noi e mostrano sostegno alla giusta causa palestinese, in particolare coloro che sono in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame. Questa presa di posizione da parte degli attivisti in altri paesi è molto importante ed è simbolo di chiarezza di vedute e limpidezza delle posizioni. Essi fanno davvero un grande sforzo per essere parte di questo sciopero della fame.

Grazie perchè ancora vi importa qualche cosa di quello che succede fuori di casa. Grazie perchè non credete alla tv ed ai media, come diceva Malcom X : “Se non state attenti i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”. Grazie per avere conservato l'umanità per trovare motivazione, l'energia e l'entusiasmo per darvi da fare e la caparbietà per continuare. Grazie per la solidarietà, in qualunque modo venga espressa. Grazie, ma non da parte mia, grazie da parte di un popolo che sta resistendo da 63 anni, in tutti i modi possibili. Grazie da parte di un popolo che se non si è ancora arreso, fa sperare che non si arrenderà mai...non so se da li si può percepire, ma qui ci tengono moltissimo a quello che fate laggiù.

Però, vedete, la vittoria che abbiamo di fronte oggi è solo parziale. C'è ancora molto, troppo da fare. 5000 prigionieri politici continuano a restare in carcere. Continuano ad esserci bambini in carcere, continuano ad esserci donne. Continuano ad essere torturati, continua la detenzione amministrativa (reclusione senza nessuna formale accusa). In Cisgiordania continuano ad espandersi le colonie, continuano ad esserci le barbare restrizioni di movimento rappresentate dai check point. Gaza continua ad essere sotto assedio, i droni e gli F16 continuano a sorvolarla. I coloni in Cisgiordania continuano ad essere violenti con i palestinesi, e cecchini con i contadini. L'occupazione israeliana non è finita, il muro non è smantellato. Il diritto al ritorno non è accordato. I palestinesi e gli ebrei israeliani non hanno gli stessi diritti. E la gente fuori non sa, o se sa, ha privilegi da difendere per cui preferisce tacere. Ecco perchè non possiamo permetterci di essere divisi.

Talvolta, nel parlare di Israele, dell'occupazione e di tutte queste ingiustizie, dimentichiamo la causa principale del problema...perchè Israele sta li? Perchè il mondo occidentale ne ha bisogno? La sua stessa esistenza è parte e conseguenza della nostra “way of life”. I nostri sistemi repressivi imparano tecniche ed importano strumenti da quelli israeliani. Ecco perchè anche il 15 di Ottobre -la cui notizia è arrivata fino a qui- non è scollegato da questa lotta.

Ho domandato a Fatima, una donna delle Jihad Islamica che ha partorito il suo ultimo figlio nelle galere israeliane, cosa dovrebbero fare secondo lei gli attivisti in Italia o nel mondo per la Palestina. Lei mi ha risposto che dovrebbero fare la rivoluzione, dovrebbero mandare a casa i loro governi. È stata più o meno la stessa risposta che mi ha dato Mariam, che invece è, all'estremo opposto, del Fronte Popolare.

Boicotta Israele. E distruggi il sistema che lo ha creato.
 

mercoledì 19 ottobre 2011

Liberi, ma non tutti. Visto dalla gente.


Grande gioia a Gaza per la liberazione di 447 prigionieri palestinesi, manifestazione di massa in piazza Qatiba ed opinioni contrastanti. Intanto lo sciopero della fame si arresta per 3 giorni dopo i colloqui di ieri, che hanno portato alla fine del confinamento ma non alla soddisfazione certa di tutte le richieste.



Da questa mattina piazza Qatiba, in centro a Gaza city, è stata attrezzata per l'arrivo di decine di migliaia di persone. È stato posto un grande banner, con alcuni attivisti delle brigate al-qassam intenti a rapire un soldato israeliano, ed una scritta “in solidarietà con i prigionieri”. Tante bandiere, inizialmente verdi e palestinesi, ma poi, quando verso le 11 la piazza ha cominciato a riempirsi, anche gialle, rosse e nere. È stato allestito un grande palco, con un centinaio di posti a sedere, riservati ai prigionieri che tornavano in palestina, in cambio del rilascio del soldato Gilad Shalid. Tutta Gaza si preparava al loro arrivo, c'era chi era più entusiasta e chi meno, chi poteva riabbracciare parenti e amici dopo tanto tempo e chi voleva solo partecipare alla festa.


Decine di migliaia di persone in piazza stavano attendendo 140 prigionieri di Gaza e 163 prigionieri originari della west bank deportati a Gaza. Dovevano percorrere un lungo percorso: prima a Ramallah, poi in egitto ed infine a Gaza City. Mentre lo stesso Gilad Shalid si augurava che tutti i prigionieri palestinesi potessero essere presto liberi e tornare alle loro case, 40 dei prigionieri sono stati forzatamente esiliati dall'entità sionista in altri Paesi. 


L'attesa, sotto il sole cocente, è interminabile. Nawal sta aspettando, non c'è suo figlio tra coloro che verranno liberati, ma considera tutti i prigionieri suoi figli: “voglio ringraziare tutti coloro che hanno aiutato in questo scambio... Questa è un'immensa vittoria per la resistenza!” afferma. Anche Rashid sta sotto il sole ad aspettare “sono venuto con mia figlia, volevo che vedesse tutto questo, considero tutti i prigionieri come facenti parte delle mia famiglia.” Saalem esclama: “Questo è il giorno migliore della mia vita, perchè oggi il bene ha vinto il male. Per quanto ci riguarda, vogliamo tutti i prigionieri liberi!”. “Tutti i prigionieri sono nostri figli e tutti noi siamo così felici per i nostri figli che sono stati liberati -spiega il sessant'enne Saleem Ibrahim- spero che l'unità ritorni alla gente, e che lavoriamo assieme per il nostro Paese”.
 



In mattinata, anche degli attivisti dalla tenda dove si portava avanti lo sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri, sono andato a visitare Qatiba. Qualcuno, dopo 2 settimane di sciopero della fame, a causa della folla si è sentito male, è svenuto ed è dovuto tornare indietro. In realtà stava per arrivare una buona notizia anche per chi digiunava: ieri, i leader dei prigionieri in rivolta e le autorità carcerarie hanno accordato la fine dell'isolamento per tutti coloro che vi erano sottoposti. Questo ha portato lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, iniziato il 27 settembre ad essere sospeso da oggi a mezzogiorno per 3 giorni. La principale richiesta fatta dai carcerati è stata finalmente accolta, ma non è ancora certo se varranno garantite le visite delle famiglie a tutti i prigionieri, né se verranno ascoltate le altre richieste. Per questo tra 3 giorni i detenuti decideranno se continuare o no lo sciopero, e a Gaza, chi porta avanti lo sciopero della fame in solidarietà, è pronto a ricominciare a digiunare con loro.




Tantissimi hanno partecipato all'evento del pomeriggio, all'arrivo a Qatiba, verso le 5, dei prigionieri rilasciati. Anche dalla tenda diverse persone si sono spostate verso Qatiba, sebbene non proprio tutti fossero entusiasti delle condizioni dello scambio. Abu Montasser, per esempio, trova alcuni punti deboli nell'accordo: sostiene che non ci sia stata collaborazione tra i diversi partiti per scegliere i prigonieri, e che per questo Hamas non sapesse il numero delle donne in carcere (vengono liberate 27 donne su 35); dice che ad alcuni prigionieri rilasciati mancava poco per finire di scontare la pena, sarebbe stato meglio focalizzarsi su chi deve ancora scontare tanti anni o l'ergastolo; avrebbero dovuto includere nell'accordo un trattamento più umano per i detenuti e l'avvallamento delle richieste di chi faceva lo sciopero della fame in carcere, infatti secondo lui “Hamas deve tenere conto anche di chi resta in carcere, della situazione in cui è costretto a vivere”. Comunque sia si dichiara “molto contento per la liberazione di tutti questi prigionieri, e ci mancherebbe, la liberazione di un solo prigioniero mi rende felice! Non dobbiamo però dimenticare chi si trova in sciopero della fame.”.
Umm Ibrahim, invece, definisce l'accordo un “miracolo”: si dice particolarmente contenta per la liberazione delle donne “anche se mi dispiace per quelle che restano dentro” puntualizza, e vuole puntare l'attenzione su chi ha pagato il vero prezzo di questo accordo: “dovremmo ringraziare per quanto è avvenuto oggi tutti coloro che sono stati feriti, uccisi, arrestati, che hanno perso la casa a causa della violenza israeliana...” Spiega come molte delle mogli di questi prigionieri fossero incinte quando i loro mariti sono stati catturati “queste creature sono cresciute senza avere nessuno da chiamare papà.”. “Questo è un primo passo, vedi, io vengo da Beit Dars, nei territori del '48. Mio marito e i miei quattro figli sono stati arrestati, sto ancora attendendo la liberazione del più grande. Continuerò a combattere fino a che non saranno garantiti tutti i nostri diritti, incluso il diritto al ritorno!”.
Due giorni fa, Naigha, un'altra donna che porta avanti lo sciopero della fame, ha avuto conferma che suo marito non era nelle liste dei prigionieri liberati. Quando suo marito è stato sequestrato dai sionisti lei era incinta del loro primo figlio, che è finito in un aborto spontaneo causato dal trauma della perdita del marito. Ora lui è in carcere in israele da 19 anni, e lei sta facendo lo sciopero della fame, in una lotta che anche a distanza li unisce. “All'inizio ci avevano detto che tutti quelli condannati all'ergastolo sarebbero usciti, invece non è vero: mio marito è ergastolano e non esce. Nemmeno chi ha firmato l'accordo sapeva chi usciva, ho ricevuto 4 telefonate dal governo che mi dicevano “è nella lista di chi esce” “non è nella lista”, sembrava giocassero con i miei nervi! Chi era stato catturato prima di Oslo doveva essere una priorità, ma qualcuno di loro è ancora dentro. Sono dentro anche la maggior parte dei leader, ed ho paura che questo accordo possa inficiare i risultati dello sciopero della fame. Se non puoi scegliere chi viene liberato, non hai vinto niente.”




Quando i prigionieri liberati arrivano sul palco è un'esplosione di slogan e mani alzate. Le bandiere sventolano e chi può sale in piedi sulle sedie di plastica che si era portato dietro per vedere meglio. Nel suo discorso Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, dice di “baciare le mani e la fronte” alla resistenza palestinese, e si augura un nuovo piano per liberare tutti coloro che ancora si trovano in carcere.





Vale la pena ricordare che tutti i prigionieri palestinesi in Israele sono tecnicamente prigionieri politici, perchè non sono arrestati per crimini comuni contro altri civili palestinesi ma di crimini contro l'occupazione, e che il fatto stesso che vengano deportati nelle carceri israeliane in vece che in carceri site in territorio palestinese va contro la convenzione di Ginevra. Nelle carceri israeliane sono presenti minori e persone che non hanno subito un reale processo ne' una formale accusa. Come punizione collettiva vengono proibite alcune visite familiari e durante l'investigazione (il primo mese o i primi mesi di prigionia) vengono torturati. Ora, grazie a questo sciopero della fame, la barbara pratica dell'isolamento dovrebbe essere terminata.
Come diceva un'amica: “siamo tutti contenti per quelli che sono stati liberati. Ma non ci dimentichiamo mica di quelli ancora in carcere, vero?”



lunedì 17 ottobre 2011

Mohammed Hamdan Duhan



Mohammed Hamdan Duhan ha 63 anni e tanta voglia di raccontare la sua storia. È un po' stanco perchè sta facendo lo sciopero della fame, così la racconta dal letto... Lo hanno arrestato nel 1970 quando aveva 20 anni, con l'accusa di avere ucciso un soldato israeliano ed un informatore.
L'investigazione è durata 3 mesi e mezzo, totalmente passati in isolamento in una cella di un metro e mezzo per un metro, senza finestre, e in cui chiudevano con lui un cane (da ricordare che i cani sono animali “non puliti” per l'islam). Faceva freddo, la luce veniva accesa solo poche ore. Da mangiare gli davano due pezzi di pane e marmellata al giorno, ed aveva con se' due secchi, uno con l'acqua ed uno per gli escrementi. Gli interrogatori veri e propri diravano dalle 3 alle 11 ore, e qualche volta veniva chiamato senza che i soldati avessero vere domande da fargli. “Di solito c'erano 5 soldati e 2 poliziotti. Mi facevano sedere completamente nudo su una sedia, poi un soldato si sedeva sul tavolo, metteva i piedi sulle mie spalle, e mi picchiava. Adesso le tecniche sono cambiate, la violenza è più psicologica che fisica, ma allora era così”. Volevano estorcere informazioni anche riguardo fratello, che all'apoca era poliziotto durante il regime egiziano, e quindi era considerato un nemico dai sionisti. Lo minacciavano di fare ritorsioni contro persone della sua famiglia. Alla fine è stato condannato a 7 ergastoli e 300 anni di detenzione.
La prigione era sovraffollata, c'erano stanze fatte per 15 persone in cui vivevano in 40 “Una volta hanno messo 50 di noi in una stanza in cui saremmo dovuti stare in 10. Noi li dentro eravamo come una famiglia, ci eravamo organizzati. Per esempio avevamo deciso che in ogni stanza c'era una sola persona autorizzata a parlare con i celerini, tutti gli altri non comunicavano con i sionisti.”

Ha passato 10 anni nel carcere di Askalan, e poi 5 nella prigione di Nafha, ed 1 nella prigione di Sorrayya. Racconta di aver vissuto 2 scioperi della fame, la prima settimana del primo non bevevano nemmeno acqua, poi, dal settimo giorno, hanno reintrodotto l'acqua ed un bicchiere di latte e uovo vitaminizzato al mattino: questo sciopero è durato 65 giorni. Abu Alqader AbuElfahem è morto in questo sciopero della fame. Era uno dei comandanti dell'esercito libanese, era stato ferito dai soldati e gli altri prigionieri gli avevano chiesto di non scioperare, ma lui aveva risposto: “siete i miei fratelli e la mia famiglia. Non posso non digiunare!” è morto il 7 maggio del 1970.
Durante questo sciopero, quando venivano individuati i leader, venivano spostati nella prigione di Nafha, e tra questi c'era anche Mohammed. Qui, nel 1982, ha partecipato ad un altro sciopero, in cui sono morte 3 persone: Rasew Halwa, Eshak Mawagha, Ali Elgaafre. “Erano i leader dello sciopero, soldati gli hanno infilato un tubo nel naso per iniettare direttamente nello srtomaco il latte. Il tubo però è finito nei polmoni e così sono morti.”

Dopo 15 anni di prigionia è stato scarcerato in uno scambio di prigionieri nel 1985. All'epoca, racconta, il Fronte Popolare aveva preso 4 soldati che aveva scambiato con 4700 prigionieri palestinesi, ma non era autorizzato a tornare in patria...è rimasto esiliato a Ginevra, in Libia, Siria e Libano, prima di tornare clandestinamente a Gaza.
“Non ho paura a raccontare la mia storia pubblicamente, anche se sono ricercato da Israele...”


Storie come questa verranno raccontate davanti al campidoglio dove, ogni lunedì in concomitanza con il consiglio comunale, degli e delle attivist* si troveranno per chiedere libertà e giustizia per il popolo palestinese (è un'iniziativa di Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese in solidarietà con i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane in sciopero della fame dal 27 settembre). (per info reteromanapalestina@gmaill.com )

domenica 16 ottobre 2011

Diario dalla tenda numero 5 (con foto)

Ieri sera, giusto prima di tronare a casa, mi hanno fermato alcuni degli anziani alla tenda. Volevano sapere cosa ne pesassi di un certo fatto: mi hanno spiegato che la richiesta principale dei prigionieri -quella che riguardava la pratica dell'isolamento- era stata “quasi” del tutto accolta, che però lo sciopero continuava fino a che non fosse stata completamente soddisfatta. Ma è il significato di questo “quasi” che mi ha fatto percepire cosa significhi “unità”. Dovete sapere che nelle carceri hanno aderito ufficialmente allo sciopero tutti i partiti tranne Hamas e Fatah, e che qui alla tenda c'è qualche rappresentante di Fatah ma nessuno di Hamas. Ebbene, la proposta dei sionisti ai leader della protesta in carcere era quella di togliere dall'isolamento tutti i prigionieri tranne 3 facenti parte delle brigate al qassam, il braccio armato di Hamas. Secondo quelli con cui ho parlato, i sionisti avevano anche proposto di liberare buona parte dei leader della protesta con lo scambio se avessero fermato lo sciopero. Ebbene questi gli hanno risposto di no. Tutti i prigionieri devono essere tolti dall'isolamento. Tutti. Non importa di quale partito facciano parte, nelle carceri non stanno lottando solo per i loro compagni del loro partito ma per la palestina. Per tutti i prigionieri. Intanto, dalle notizie che giungono, le condizioni di Sa'adat stanno diventando sempre più gravi.

A Varese è iniziato lo sciopero della fame l'altroieri, venerdì 14 ottobre digiuna Filippo, sabato 15 Anna, domenica 16 Gisa, lunedì 17 Valeria, martedì 18 Fiorella, …

Vi lascio con qualche foto...(non sono una gran fotografa, ma almeno dovrebbero rendere l'idea...)


la tenda:





Una delle donne in sciopero della fame:
La preghiera del venerdì alla tenda:

L'interno del cortile della croce rossa:

Qualcuno ha pensato di venire a fasteggiare il suo matrimonio alla tenda...(la festa è separata tra uomini e donne, questa è la parte "maschile", che quella femminile si fa al coperto):




...anche chi ha la pressione bassa balla dal letto...

Solidarietà con i manifestanti a Roma

Come piccolo contributo per esprimere la mia personale solidarietà a chi a Roma ha portato avanti una battaglia in cui crede, e per questo si è trovato faccia a faccia con lo stesso mostro che anche da qui stiamo combattendo, riporto "Occupare Wall Street e non la Palestina", appello del BNC (grazie a Falvia per la traduzione).
Liberi tutti, liberi subito.



Palestina Occupata, 13 ottobre
Il Comitato Nazionale Palestinese (BNC) del Boicottaggio Disinvestimenti Sanzioni, la più larga coalizione della società civile in lotta per i diritti dei Palestinesi, è orgogliosa di sollevarsi in solidarietà con i movimenti che stanno lottando per un mondo nuovo, basato sulla democrazia, sui diritti umani e sulla giustizia economica. Da New York ad Atene, da Madrid a Santiago, da Bahrain a Roma, questa immensa mobilitazione fornisce un richiamo molto necessario di qualcosa che i Palestinesi hanno sempre saputo – che un altro Mondo, che riconosca dignità, sia possibile e la gente comune può crearlo.

Le nostre aspirazioni si sovrappongono; le nostre lotte convergono. I nostri oppressori , che siano avide aziende o occupazioni militari, sono unite nel trarre profitti dalle guerre, saccheggiare, distruggere l’ambiente, reprimere ed impoverire. Dobbiamo unirci nella nostra comune richiesta di libertà, eguaglianza di diritti, giustizia economica e sociale, salvaguardia dell’ambiente e pace mondiale. Non possiamo permettere più a lungo di essere frantumati e divisi; non possiamo ignorare più a lungo il nostro obbligo di giungere le mani nella lotta contro la guerra ed il comune sfruttamento e per una comunità mondiale amica dell’umanità al posto della giungla della massimizzazione del profitto.

Il movimento di occupazione di Wall Street ed i suoi corrispettivi attraverso USA, Europa, America Latina ed in qualsiasi altro luogo sono – almeno parzialmente- ispirati dalla Primavera Araba per la democrazia e la giustizia sociale. I leader delle rivolte popolari arabe ci dicono che loro, a turno, erano ampiamente ispirati da noi stessi, decenni di lotte contro l’occupazione israeliana della nostra terra, dei suoi sistemi di discriminazione che corrisponde alla definizione di apartheid, ed il suo rifiuto del diritto dei Palestinesi rifugiati a tornare alle proprie case.

Il rapido emergere del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni (BDS) contro Israele fino al suo conformarsi con il Diritto Internazionale è una chiave e parte effettiva della lotta dei Palestinesi. Ancorato ai principi universali dei diritti umani e lottando per libertà, giustizia ed uguaglianza, il movimento BDS, messo su nel 2005, è profondamente radicato in decenni di resistenza pacifica dei Palestinesi all’oppressione coloniale ed è ispirato dalla lotta del Sud Africa contro l’apartheid e dal movimento per i diritti umani negli USA. Esso è adottato con un nuovo consenso dai Palestinesi in ognidove, da tutti i principali partiti, sindacati, albi professionali, unioni di donne, gruppi di studenti, reti di ONG e di difesa dei rifugiati rappresentati nel BNC, il referente di questo crescente movimento per la fine dell’impunità israeliana.

Il movimento BDS a guida palestinese è uno sforzo globale di gruppi, dal Sud Africa all’Inghilterra, dal Canada all’India, e all’interno dello stesso Israele, tutti comitati per la fine del rifiuto israeliano del riconoscimento dei diritti di base dei Palestinesi. Esso è appoggiato da elevati leader morali del calibro dell’Arcivescovo Desmon Tutu e del sopravvissuto all’Olocausto e co-autore della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Stephane Hessel. E’ sostenuto da rinomate figure del mondo culturale ed intellettuale come Alice Walzer, Naomi Klein, Roger Waters, Judith Butler, Sarah Schulman, John Berger, Ken Loach, John Greyson e Adrienne Rich. Federeazioni di sindacati di massa come la COSATU (Sud Africa), CUT (Brasile), TUC (GB), ICTU (Irlanda), fra molti altri, hanno anch’essi aderito al BDS.

Il movimento ha ottenuto negli ultimi due anni alcuni spettacolari successi, quando rinomati artisti e gruppi musicali hanno prestato attenzione al boicottaggio culturale d’Israele ed hanno rifiutato di tenervi i loro spettacoli o cancellato esibizioni programmate. Tra di essi i Pixies, Elvis Costello, Snoop Dogg, Meg Ryan, Vanessa Paradis, Gil Scott-Heron, oltre molti altri. Il fondo statale delle pensioni Norvegese, tra altri, maggiori banche europee ed alcuni Enti sono stati tutti convinti a disinvestire dagli affari implicati nelle violazioni israeliane della legge internazionale. Sempre più, il BDS è riconosciuto come un movimento civico capace di porre fine all’impunità israeliana e, in modo decisivo, contribuire alla lotta globale contro la guerrafondaia, razzista agenda in cui Israele ha persistentemente giocato un ruolo chiave.

Così, dal momento che rompete le vostre catene ed edificate la vostra effettiva resistenza contro la comune tirannia, vi chiediamo una pace giusta per tutti i popoli del Medioriente, basata sulla legge internazionale e sull’eguaglianza dei diritti. Anche i Palestinesi sono parte di quel 99% che nel mondo soffre per mano di quell’1% la cui ingorda e spietata ricerca di egemonia ha guidato verso un’indicibile sofferenza e guerra senza fine. Il potere delle corporations non ha tratto profitto dalla nostra sofferenza, ma collude con il mantenimento dell’occupazione e dell’apartheid israeliane per perpetuare un ordine ingiusto che trae profitto dalle compagnie petrolifere e militari e dalle istituzioni finanziarie internazionali.

Ci appelliamo a tutti i movimenti sociali diffusi nel mondo per pensare in maniera critica quando considerano il proprio atteggiamento verso le proteste “per la giustizia sociale” in Israele, che hanno quasi completamente ignorato la questione chiave al cuore di tutti i problemi di fronte ai Palestinesi comuni ed anche agli Israeliani: il costoso sistema israeliano di occupazione, colonialismo ed apartheid sul popolo palestinese. Senza porre fine a questo multi-stratificato sistema israeliano di oppressione, la nostra intera regione non godrà mai di una pace completa e duratura, basata sulla giustizia e sui diritti umani.

Soldi per attività lavorative, salute ed educazione, non per oppressione razzista ed occupazione! Da nessuna parte è più importante che negli USA. Nonostante la persistente negazione israeliana dei diritti dei Palestinesi, gli USA hanno fornito ad Israele un’incondizionata assistenza politica e militare che contribuisce direttamente alla negazione dei diritti dei Palestinesi, ma anche ai problemi di fronte ai quali si trovano i comuni cittadini statunitensi. Non sarebbero stati spesi meglio i 24 miliardi di dollari di aiuti militari forniti ad Israele nel periodo 2000-2009 in scuole, sanità ed altri servizi essenziali? Non ha giocato Israele un ruolo principale nel pungolare gli USA nel lancio e nella continuazione delle guerre in Iraq ed in Afganistan, con immensi costi umani e materiali, sopportati soprattutto dai più poveri in quei paesi ?

Ma, dobbiamo ricordare a noi stessi tutto il tempo che questa lotta non sarà mai facile, e raggiungere i nostri obiettivi mai inevitabile. Come Martin Luther King disse una volta:

Il cambiamento non gira nelle ruote dell’inevitabilità, ma giunge attraverso la lotta incessante. E così noi dobbiamo raddrizzare le nostre schiene e lavorare per la nostra libertà. Un uomo non può cavalcarti senza che la tua schiena sia piegata.

Le scene ristoratrici di proteste nel mondo pacifiche e determinate per la giustizia ci dicono che il 99% del mondo è in un processo di raddrizzamento delle nostre schiene, collettivamente, con incrollabile forza d’animo e sconfinata speranza.

Segreteria BNC
(traduzione di Flavia Lepre)

giovedì 13 ottobre 2011

Diario dalla tenda numero 4


Continua ad esserci gioia per i prigionieri che verranno liberati, ma si continua anche a ricordare chi sta ancora in carcere. Tutti sperano che i loro parenti o conoscenti siano nella lista, ma continuano ad essere pubblicate liste non ufficiali e non confermate, che creano illusioni senza dare certezze...tra qualche giorno sapremo effettivamente chi sarà libero e chi no. Mentre Hamas promette che Gilad Shalid non sarà l'ultimo soldato catturato per essere offerto in cambio di prigionieri palestinesi, il pensiero di molti torna a quelli che dal carcere non usciranno, e lo sciopero continua fino a che le richieste dei prigionieri non saranno ascoltate. Ieri sera, dopo i 4 che si sono sentiti male al mattino, anche Omar è finito all'ospedale. Tutti e 5 adesso stanno bene (o almeno così dicono) e continuano lo sciopero della fame. Il gruppo delle donne che fanno lo sciopero della fame si è infoltito, ora sono in 8, e qualcuna si ferma alla tenda a dormire. 
Questa sera c'è stata una piccola manifestazione dalle Nazioni Unite alla croce rossa. Siamo stati una buona mezz'ora davanti all'UN, e la porta chiusa ceh vedete in foto esprime molto chiaramente anche il loro atteggiamento per quanto riguarda la questione palestinese.


 

Qualcuno mi faceva giustamente notare, dall'Italia, che le richieste dei prigionieri sono veramente basilari, che quello che dovremmo chiedere è libertà per tutti. Verissimo, chi dice il contrario? Il concetto di fondo, in tutto questo, è che -anche secondo la legislazione internazionale, di cui i nostri paesi si infischiano quando si parla di Israele- non dovrebbero esistere prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Però, al momento, le richieste dei prigionieri sono quelle già elencate (e che ritrovate le comunicato del BNC tradotto qui sotto), si tratta delle loro rivendicazioni, della loro lotta, che personalmente sono qui solo per supportare. Mi trovo a Gaza con l'ISM, che è un movimento “palestinian led”, significa che se partecipiamo ad una lotta di palestinesi, le nostra richieste non ha senso siano diverse da quelle dei palestinesi stessi. Se indicessero uno sciopero della fame fino alla libertà di tutti i prigionieri, probabilmente morirebbero tutti di fame. È anche chiaro che però in Italia, dove si tratta di fare pressione per la libertà e giustizia, premesse necessarie ad una qualche forma di pace, ha senso rivendicare anche il fatto che tutti i prigionieri debbano essere liberati.

A proposito di Italia, ho qui un elenco (sicuramente non esauriente, dal momento che è stato fornito da un'amica che lo ha trovato su facebook) di persone che ha digiunato ieri, o che stano ancora digiunando: Flavia Menta, Luca Stocchi, Marisa Conte, Elena Bellini, Renato Tretola, Katia Votoli, Maria Elena Delia, Francesca Antinucci, Francesco Lombardi, Daniela Rosa Carriero, Cinzia Baldessarri, Alessandra Capone, Michele, Rosa Schiano, Glenda Acito, Nao Ishiyama. (sicuramente qualcun* manca, fatevi vivi se volete che scriva qui il vostro nome). A Milano il 22 e 23 ottobre in piazza Mercanti – Duomo, 10 attivisti (4 italiani e 6 egiziani) attueranno uno sciopero della fame in solidarietà coi prigionieri palestinesi. Potrete trovare gli attivisti e le attiviste presso un gazebo sabato 22 dalle 10 con materiale informativo. Alle 17 ci sarà un presidio indetto dall'associazione ISM-Italia (che è cosa diversa dal movimento ISM, di cui faccio parte). Sono in attesa di ulteriori aggiornamenti ed adesioni, ma per ora i nominativi di chi digiunerà sono: Anna, Annalisa, Agata, Antonio, Majed, Mahe, Mohammed, Ashraf, Salam, Mido...Per quanto riguarda Varese domani digiunerà Filippo, sabato Anna (da confermare), domenica Gisa e lunedì Valeria.
È stata creata una pagina facebook (in italiano!) in solidarietà con i prigionieri.
Comuncia a prendere forma l'iniziativa di cui vi raccontavo che prevedeva di mostrare foto di prigionieri e raccontare le loro storie di fronte al campidoglio ogni lunedì. In fondo a questo lungo post trovate altre informazioni.
Intanto continua la campagna di addameer che chiede di fare pressione sulla croce rossa perchè il prigioniero ahmad Sa'adat venga visitato da un medico e riceva le necessarie cure. Il sito “free Ahmad Sa'adat” riporta: “nonostante le sue stesse crisi di salute, quando gli si è domandato come pensasse di continuare lo sciopero, ha risposto: "Continueremo. Non accetteremo queste condizioni degradanti. O vivremo dignitosamente o moriremo innalzando le mani"”


Intanto qui arrivano notizie che il Fronte abbia organizzato per ieri a Khan Younis una lunga catena umana in solidarietà con i prigionieri (ed in particolare con Akhmad Sa'adat), i partecipnti portavano bandiere palestinesi e del Fronte Popolare, con foto dei prigionieri. Mahmud Al Ras, uno dei leader locali, ha dichiarato: “Siamo contenti di questo scambio di prigionieri, speriamo sia un primo passo verso la liberazione totale di tutti. Continueremo le nostre attività in supporto dei prigionieri e facciamo un appello alle organizzazioni internazionali perchè entrino in gioco proteggendo i loro diritti.”
In Giordania è stato dichiarato ufficialmente davanti alla croce rossa che in 9 hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato, ed altri 66 sciopereranno a staffetta. I partecipanti sono soprattutto giovani, facenti parte di diverse fazioni politiche.

E poi è arrivata una dichiarazione, raccolta da un avvocato di Addameer, di uno dei leader delle rivolte in carcere. Trovo interessante trascrivere la traduzione.

Quindi, qui di seguito troverete:
  1. Traduzione della dichiarazione di Ahed Abughoulma dal carcere di Askalan.
  2. Traduzione dell'appello del Boycott National Committee per boicottare Israele in supporto dei prigionieri.
  3. Invito alla presenza in campidoglio

Traduzione della dichiarazione di Ahed AbuGhulma dal carcere di Askalan
Ahed Abughulma è uno dei leader delle proteste in carcere, è stato imprigionato in un carcere controllato da inglesi ed americani (lo stesso dove si trovava Sa'adat) fino a quando il carcere è stato preso dai sionisti e da allora si trova a scontare l'ergastolo nelle carceri israeliane.

Tutti i prigionieri stanno bene, in buona salute, e conservano la loro grande dignità. Essi sono in grado di continuare lo sciopero della fame iniziato 2 settimane fa, e sono abbastanza forti per farlo. Continueremo fino a che non raggiungeremo i nostri obiettivi.

Anche la settimana scorsa, quando un altro avvocato di Addameer è venuto a farci visita, abbiamo insistito sul fatto che la violenza che gli israeliani usano contro di noi non ci farà desistere dal richiedere condizioni umane di detenzione.
Sono molto contento di come si stanno comportando questi prigionieri e prigioniere, sono convinto che essi stiano creando una nuova situazione in prigione e che segnino l'alba di un nuovo movimento dei prigionieri. Mi auguro che tengano duro e non cambino posizione fino a che non otterrano ciò che chiedono.
Assicuro ai miei compatriotti che presto innalzeremo la bandiera della vittoria sotto il nome dell'unità dei prigionieri palestinesi.

Voglio mandare i miei apprezzamenti ai palestinesi che ci sono vicini in questa lotta. Le diverse attività con cui ci supportano ci danno la forza di continuare, e gli infondono la caparbietà necessaria con Israele. Chiedo loro, d'altronde, di continuare ed aumentare le attività di supporto ai prigionieri.

Saluto e ringrazio il mondo arabo ed il movimento internazionale di solidarietà, perchè sono con noi e mostrano sostegno alla giusta causa palestinese, in particolare coloro che sono in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame. Questa presa di posizione da parte degli attivisti in altri paesi è molto importante ed è simbolo di chiarezza di vedute e limpidezza delle posizioni. Essi fanno davvero un grande sforzo per essere parte di questo sciopero della fame.

Apprezzo anche le associazioni internazionali per i diritti umani, attive nell'intento di mostrare le situazioni in cui i prigionieri versano e che li supportano. Mi auguro che continuino fino a che il diritto al ritorno, all'indipendenza ed autodeterminazione non saranno garantiti.



Appello del BNC
Il Boycott National Commettee rappresenta le associazioni e gruppi che hanno firmato l'appello el 2005 per il boicottaggio, disinvestimento e snazioni nei confronti di Israele.


Il Comitato Nazionale per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni verso Israele (BNC) sostiene le legittime richieste dei prigionieri politici palestinesi espresse nel loro sciopero della fame a tempo indeterminato e chiede di intensificare la campagna globale BDS per porre fine all'impunità di Israele

Palestina occupata 2011/11/10

Per il quindicesimo giorno di fila, i nostri coraggiosi prigionieri politici continuano il loro sciopero della fame a tempo indeterminato nelle carceri israeliane, sfidando i muri di silenzio e di complicità internazionale, esprimendo così il loro rifiuto alle umiliazioni e alle quotidiane violazioni dei loro diritti.

Mentre si festeggia l'anniversario delle Nazioni Unite di solidarietà con i prigionieri politici sudafricani, le Nazioni Unite stesse, sotto l'egemonia degli Stati Uniti, hanno voltato le spalle sulla situazione dei prigionieri politici palestinesi, tra cui centinaia di minori, che giacciono in grave difficoltà nelle carceri israeliane, notoriamente disumane. Questa situazione esercita una pressione morale sulla società civile internazionale ad agire, al fine di spingere efficacemente Israele a liberare tutti i prigionieri palestinesi e arabi politici e, nel frattempo, rispettare i loro diritti riconosciuti a livello internazionale.

Il BNC, la più grande coalizione palestinese società civile e che rappresenta la stragrande maggioranza dei sindacati, coalizioni e le forze politiche, supporta pienamente lo sciopero della fame richiesto dal prigionieri palestinesi e sostiene le loro legittime richieste per:

-Porre fine alla pratica dell'isolamento
-Terminare il divieto di istruzione universitaria per i detenuti
-Terminare la prassi di punizione collettiva, compresa la negazione delle visite, e imposizione di sanzioni pecuniarie sui prigionieri
-Porre fine alle incursioni provocatorie e invasioni delle celle prigionieri
-Fermare la pratica di ammanettare le mani e le gambe dei prigionieri durante le visite di familiari e avvocati
-Migliorare le condizioni di salute di centinaia di prigionieri malati e feriti e fornire loro le cure necessarie
-Permettere a libri, giornali e vestiti di entrare nelle prigioni
-Permettere la trasmissione di canali televisivi satellitari che sono stati banditi dal servizio penitenziario israeliano (IPS)
-Porre fine al limitare di 30 minuti ogni mese per le visite, e al rifiuto arbitrario di visite

A sostegno di sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi, la BNC fa un appello a intensificare in tutto il mondo il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro Israele, in quanto questo è il modo più efficace di fare pressione su di esso fino a che non rispetti tutti i diritti del popolo palestinese:

--Chiediamo di intensificare il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, tutte complici dell'occupazione israeliana e dell'apartheid, in risposta alla negazione del diritto fondamentale prigionieri palestinesi all'istruzione
--Chiediamo di organizzare campagne di boicottaggio e disinvestimento in tutto il mondo prendendo di mira aziende israeliane e internazionali che hanno contratti con la IPS (Israeli Prison Services) o altri enti che riforniscono l'ampio settore delle carceri, centri di detenzione e il farsesco sistema dei tribunali israeliani. Le aziende che partecipano in queste attività sono complici di gravi violazioni dei diritti umani internazionali e ricavano profitto dallo sfruttamento dei prigionieri palestinesi, costringendo i detenuti a pagare prezzi esorbitanti a causa della mancanza di alternative. Chiediamo che la leadership palestinese bandisca queste aziende da gare d'appalto pubbliche e private, e chiedamo una legislazione rigorosa nel mondo arabo volta a boicottare queste aziende.
--Chiediamo di boicottare la Israeli Medical Association (IMA) e l'espulsione dalla World Medical Association (WMA) perchè i suoi membri sono coinvolti nella tortura, e perchè ha ripetutamente violato il principio fondamentale contro la tortura del codice dei medici, e la Dichiarazione di Tokyo, che obbliga i medici a denunciare e segnalare le torture ogni volta che si presentino. Ci sono numerose prove che documentano le visite dei medici ai prigionieri israeliani, in cui essi vedevano i prigionieri in vari momenti durante e dopo episodi di tortura, in cui essi hanno reagito non protestando o denunciando ma rimandando i prigionieri ai loro interrogatori. Inoltre IMA sta portando avanti un silenzio complice per quanto riguarda lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi in corso, dal momneto che è stato riportato che l'IPS ha sequestrato dalle stanze dei prigionieri il sale, che è essenziale per la loro salute e la sicurezza durante lo sciopero. Ricordiamo qui che l'Associazione Medica del Sud Africa fu costretta a ritirarsi dalla WMA a causa della sua complicità medica [1].

Il movimento dei prigionieri palestinesi 'è sempre stato in prima linea della lotta palestinese per la libertà, la giustizia e l'autodeterminazione. Come la fame dei prigionieri palestinesi fa esplodere le pareti delle loro celle di prigionia [2], a nostra volta dobbiamo spingere la coscienza della società civile internazionale a far rendere conto ad Israele delle sua azioni secondo il diritto internazionale, intensificando le campagne BDS contro di esso.

[1] Per ulteriori informazioni, vedere: http://www.bricup.org.uk/documents/archive/BRICUPNewsletter45.pdf. Entrambi i Medici per i diritti umani-Israele, e il Comitato pubblico contro la tortura in Israele (PCATI) hanno presentato la documentazione per il formato WMA a sostegno della domanda per l'esame della registrazione della complicità della IMA nella tortura.

[2] Si riferisce al famoso Ghassan Kanafani "Perché non hanno fatto esplodere [entrambi] i lati dei muri?" Dal suo romanzo, Uomini al sole. Kanafani è un giornalista palestinese che è stato assassinato da Israele nel 1972, all'età di 36 anni.


Presenza in campidoglio

Si è deciso di organizzare e mantenere a lungo termine -- cominciando con il prossimo lunedi 17 -- una presenza in solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame, da tenersi al Campidoglio ogni lunedì sera, giorno di Consiglio Comunale, dalle 16:30 alle 18:30.

Il presidio settimanale dovrebbe consistere in un gruppo di almeno 10 persone, ognuna delle quali dovrebbe portare la fotografia di un prigioniero, ogni volta diversa. Ogni lunedì, si dovrebbe inoltre raccontare la storia di alcuni dei prigionieri dei quali si porta la fotografia.

Per favore, scrivete a me annafar@msn.com o telefonate al 320 6359555 per comunicare le vostre disponibilità specificando, se possibile, se per tutti i lunedi o ad esempio uno si ed uno no. Sarebbe utile avere anche un recapito telefonico (nel caso di cambiamenti all'ultimo momento). Questo mi aiuterà a coordinare e organizzare i turni.

Abbiamo bisogno di voi,della vostra presenza, di poche ore del vostro tempo, a sostegno di questa coraggiosa campagna di disobbedienza e protesta nonviolenta, e a favore dei diritti umani fondamentali."