Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


venerdì 21 gennaio 2011

Le macerie di ieri e la paura per domani

Il mio ultimo pezzo per Wake Up News:



Ahmad è magro, ha gli occhi scuri e somiglia un po’ a suo fratello. Suo fratello si chiama Mohammed Rajullah ed è co-autore del film To shoot an elephant insieme ad Alberto Arce. To shoot an elephant racconta l’inferno di Gaza durante l’operazione piombo fuso. In quel film si vedono le ambulanze che vanno a prendere i feriti, le bombe, il fosforo bianco, l’invasione via terra e tante immagini di persone, di donne uomini e bambini normali la cui vita è stata distrutta da un attacco condannato dal rapporto Goldstone dell’ONU, che ha provocato più di 1400 vittime, la maggior parte delle quali bambini, ed ha lasciato un numero inaccettabile di orfani. Un soldato israeliano ebbe a dire, finita la guerra, che «Questo è il lato più bello, prendendo in considerazione Gaza. Vedi una persona camminare per strada… Non è necessario che porti un’arma, non devi identificarlo con nulla e puoi semplicemente sparagli».
Ahmad è magro, ha gli occhi scuri e sta studiando per la maturità. Parla inglese piuttosto bene per la sua età e dice che all’università vuole studiare inglese per diventare traduttore. Mostra le rovine delle case distrutte durante la guerra. Questo è uno dei pochi posti dove rimangono le rovine, perché altrove i resti sono stati raccolti da persone che poi li hanno rivenduti per essere frantumati e farne cemento. Si può vedere qualche pezzo di cemento, qualche traccia di muri e colonne dalle quali sporgono come aculei di un istrice sbarre di ferro di sostegno. Ahmad racconta che alcuni se ne erano già andati, ma altri sono morti dentro a quelle case, quando sono state bombardate. Erano circondate da campi coltivati, ulivi e aranceti che sono stati sradicati e distrutti.



In una via vicina vive un anziano signore in abiti tradizionali che indica la sua ex casa distrutta e il campo di ulivi. In questo caso gli ulivi non sono stati sradicati, ma, a causa del fosforo bianco, non producono più olive. Racconta che quando hanno bombardato due anni fa sono morte tante persone, tra cui diversi bambini, ed altri bambini sono rimasti senza un genitore. Alcuni si sono spostati in un’altra area, e quelli che sono rimasti dicono che hanno paura, perché dalla torretta israeliana che si trova a 350-400 metri di distanza i soldati sparano quasi tutti i giorni. Ahmad traduce per quel che può, e parla poco. In fondo sta parlano del villaggio dove vive. Non riesco ad immaginare a cosa stia pensando. Talvolta sorride, ma ha qualcosa dentro che non posso comprendere in pieno.


L’altro giorno nella casa dove vivo, nello stesso villaggio di Ahmad, c’erano tre donne davanti al pc con internet. Il pc passato sotto i tunnel, perchè è l’unico modo in cui entrano i pc qui, e comperato con i soldi dello zio in Germania. Naima leggeva ad alta voce una notizia in arabo e, anche se io non conosco abbastanza bene l’arabo per capirlo,  il suo sguardo era preoccupato, anzi impaurito. Taragi mi guarda e mi dice, nel suo inglese non proprio perfetto: «The news say that Egypt told Hamas that Israel want to attack again Gaza, and Israel confirm».
Ecco, ve la lascio così questa notizia. Con l’inglese stentato di chi ha visto un massacro, e legge nelle notizie che l’incubo tornerà. Con l’incertezza, perché nessuno sa quando verrà nè con quale intensità.
«É ora per tutti quelli che hanno fatto sentire la loro voce con forza e vigore DOPO il massacro di Gaza due anni fa, di farla sentire ADESSO, e cercare di prevenire il prossimo». – Ilan Pappe, storico.

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