Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


sabato 1 gennaio 2011

Una casa di sole donne.


Siamo arrivati a casa della famiglia Aburgela, a Kusaa vicino Khan Younis, verso le 5 di pomeriggio. Una signora sui 40 anni racconta di essere madre di 5 figlie, che suo marito è in un carcere israeliano da 3 anni e deve restarci altri due perchè sotto tortura ha confessato un crimine che non aveva mai commesso. Durante piombo fuso una delle figlie ha respirato i vapori del fosforo bianco ed è stata molto male, e due giorni prima del nostro arrivo c’era stata un’incursione e sono rimaste chiuse in casa per tutto il tempo, che spesso di fronte a casa ci sono i carri armati…
Ci dicono che cercano il nostro aiuto. Allora ci offriamo di cercare contatti con associazioni che possano passare dei finanziamenti, soprattutto per coltivare, ci dicono no. Una di noi, che lavora in un centro di assistenza psicologia, propone loro di avere assistenza psicologica da questo, rifiutano. Lei ribadisce il concetto, la madre di 5 figlie comincia ad innervosirsi, non ne vuole sapere, dice che è psicologa pure lei, non cerca un’assistenza psicologica. A questo punto scopriamo che la figlia maggiore parla inglese molto bene, perché interviene nella discussione con l’energia di chi è convinta di avere di fronte qualcuno che non capisce una cosa ovvia:

“No, non hai capito. Noi non vogliamo che contattiate associazioni perché ci diano soldi. Non vogliamo denaro. Non vogliamo nemmeno che contattiate qualcuno che possa offrirci assistenza psicologica. Mia madre è assistente sociale, psicologa, e non ci serve altra assistenza psicologica. Noi vogliamo che le mie sorelle minori possano uscire di casa senza avere paura degli spari. Noi vogliamo addormentarci di notte senza avere paure di essere attaccati. Vogliamo semplicemente vivere tranquillamente a casa nostra. Vogliamo che scriviate la nostra storia così poi la gente lo sa e qui le cose cambiano. Qualche volta è arrivato qualche giornalista, gli abbiamo raccontato la storia e poi se ne è andato e non è cambiato nulla. Vogliamo che restiate qui, che non ci abbandoniate.”

Io la ho guardata e non ho saputo che risponderle. Cosa dovevo dirle? Che anche se la gente lo sa non cambia nulla, perché “la gente” non fa niente? Dovevo dirle che anche se mi fermavo li non cambiava molto per loro perché comunque io sono nella lista nera israeliana e non è che interrompono un’incursione perché un’attivista italiana si trova nelle vicinanze?
Ho spiegato loro tutto questo la sera, quando ho deciso di fermarmi.
Penso, ne ero convinta anche ad Hebron, che la mia o la nostra presenza in Palestina non cambi la situazione nell’immediato, che tanto agli israeliani non piacciamo come non gli piacciono i palestinesi, per loro non fa troppa differenza. La sera, nella notte, si sentivano i bulldozer che probabilmente stavano distruggendo qualche terra che nelle vicinanze qualche palestinese cercava di coltivare, la mattina ci siamo svegliate con due carri armati a poche centinaia di metri da casa, nel pomeriggio ce ne era uno, la sera di nuovo due e le figlie minori sono scappate a dormire dai vicini in centro città. No, non era un’incursione, è normale ed accade tutti i giorni.
Il fatto che io fossi li (e continui a restarci) non cambia questa situazione. Quello che cambia è che queste donne, forse, si sentono un po’ meno sole ed è, io credo, buona parte di quello che posso fare.

We don’t want your money. We want freedom!” (un professore di inglese, 2 anni fa, ad Hebron)

Boicotta israele.

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