Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


mercoledì 6 luglio 2011

Dalla Grecia alla Valsusa (passando per Gaza)

La flotilla è ferma in Grecia. E dalla Grecia è patita solo la nave francese, perchè non aveva detto al governo greco che faceva parte della flotilla. Il governo greco ha dimostrato di essere l'ennesimo potere servile ad Israele. Ora, se noi ci fermassimo a ragionare solo sulla questione palestinese, ignorando il fatto che è stata la Grecia, quella stessa Grecia che sta mettendo in atto una “manovra anti-crisi” che sta rendendo i poveri sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi e vieta un futuro alle generazioni più giovani, se ignoriamo il fatto che è la stessa Grecia che reprime i greci che non ne possono più delle prevaricazioni del potere sulle loro stesse vite, se pensiamo solo a che le barche non sono partite tralasciando tutto il resto, allora credo che stiamo guardando il mondo con i paraocchi. Non perché la questione greca sia più importante di altre, ma perché ciascuna lotta, se non è contestualizzata, perde di forza ed importanza.

La Resistenza non è solo quella palestinese. Vik era solito dire “la Palestina è il fronte su cui io combatto, ma ciò per cui tutti assieme lottiamo è qualche cosa di molto più ampio”... e, oggi, l'esempio più vicino di resistenza attiva che posso osservare qui in Italia è quello della Valsusa.
Ora, non è questo il luogo per descrivere le pericolosità dell'ennesimo mostro messo in campo da un potere esterno sulle spalle di chi abita un certo luogo, di elencare gli sperperi di denaro che esso comporta, ne' di descriverne l'inutilità in una valle in cui già esiste una linea ferroviaria sottoutilizzata.
Ciò su cui verrei riflettere è che in Valsusa, come in Palestina, si sta combattendo per il diritto di abitare la propria terra, per il diritto di poter avere una vita dignitosa, per il diritto di poter decidere del proprio territorio. Vorrei dire che le ragioni che spingono un palestinese a voler tornare a casa sua nei territori del '48 o quelle che spingono un valsusino a voler tornare alla Maddalena, in fondo, sono molto simili. I sentimenti di un contadino palestinese che vuol continuare a coltivare la propria terra anche se si trova nella buffer zone e i cecchini israeliani gli sparano sicuramente possono essere ben compresi da un viticoltore che non può raggiungere le sue vigne perchè glielo impediscono dei poliziotti in divisa messi li da un potere esterno alla valle che ha deciso di militarizzare l'area. In Valsusa come a Gaza i media hanno fatto il gioco dei potenti, e coloro che subiscono le ingiustizie si trovano di fronte allo stesso tipo di menzogne mediatiche (ricordate Maroni che definisce i no-tav terroristi?). Chi sostiene che l'incidenza di cancri è aumentata a Gaza dopo piombo fuso o dopo le discariche installate dai sionisti vicino al confine di Gaza, non potrà appoggiare un'opera che libererà dalle montagne piemontesi amianto (che causa il cancro al polmone) e uranio. Siamo tutti certi che poi i check point nella west bank siano meno leciti dei check point imposti dalla polizia alla gente che abita in Valsusa?

Con questo non voglio dire che la situazione a Gaza o in Valle siano uguali, però voglio affermare che esse sono due fronti in cui si combatte la stessa lotta.

Pensare che si possa risolvere il problema palestinese senza contestualizzarlo e senza trovare legami ed affinità con tutte le altre lotte trovo che sia ingenuo, se non addirittura ipocrita.
Se perdiamo di vista il fatto che combattiamo tutt* per la stessa ragione, che è il sistema tutto ad essere marcio e quello con cui ci confrontiamo sono solo le conseguenze, allora abbiamo già perso in partenza.

È come osservare la punta di un iceberg: il grosso sta sottoterra, se io mi impegno a distruggere solo la parte che vedo l'iceberg continuerà a salire fuori, perchè la parte sommersa non viene intaccata. Parlare di israele è come puntare il dito verso la parte visibile, il che è essenziale perchè permette di individuare la parte sommersa, però dall'altro lato, se vogliamo fare sparire l'iceberg dobbiamo lavorare anche sulla parte sommersa. Non possiamo pensare solo ad Israele, perchè Israele stesso è conseguente, funzionale e parte integrante di un sistema malato, la cui malattia va molto più in profondità. Se combattiamo contro l'apartheid israeliana, ha senso ed è doveroso combattere contro tutte le forme di razzismo, altrimenti la nostra lotta diventa ipocrita. Se pensassimo che il razzismo israeliano è inaccettabile ma approvassimo la presenza dei CIE (per fare un esempio), avremmo perso di credibilità. Se combattendo Israele dimentichiamo che esso sta li per interessi legati alla nostra stessa società ed economia, se sleghiamo la crisi sociale da quella economica e da quella ambientale pensando che abbiano cause diverse, stiamo facendo il gioco di chi vuol fare si che questo sistema continui a viaggiare sui binari di sangue dove si muove.

Ciò che fa paura a chi vuol privare l'essere umano delle libertà è il fatto che si sia uniti e che non ci si arrenda. I palestinesi fanno paura ad Israele perchè hanno imparato che solo uniti si può vincere e che nessuna delle varie forme di lotta ha più dignità delle altre, e perchè hanno saputo resistere per 63 anni. Queste stesse ragioni -l'unità della lotta e la sua persistenza- sono quelle che rendono le proteste in valsusa vincenti da un lato e pericolose per il potere dall'altro.

L'unità di intenti l'ho vista a Gaza quando nelle manifestazioni nonviolente gli slogan erano “min Rafah la Jenin kullu nas muqawemyn” (da Rafah a Jenin siamo tutti Resistenza). Per Muqawama di solito si intende resistenza armata, ma non solo...lo slogan “siamo tutti resistenza” significa che ciascun* con i mezzi che ritiene più opportuni, ciascun* con le modalità che gli o le calzano meglio addosso, è parte fondamentale di questa Resistenza. Ho visto l'unità d'intenti in valle, quando anche chi pratica la nonviolenza afferma che in diverse occasioni sia lecito e giusto reagire o agire in maniera violenta, e quando dall'altro lato chi poi tirava le pietre ha apprezzato l'azione del nonviolento Turi, con la sua verticale di fronte alla polizia. Questo è il primo fatto importante: ovunque, se non ci rendiamo conto che ci stiamo muovendo con mezzi diversi nella stessa direzione, non arriveremo da nessuna parte.

La continuità della lotta l'ho vista a Gaza in maniera fortissima, quando dopo 63 anni migliaia di persone si sono recate ai confini israeliani per rivendicare la loro libertà di tornare a casa, quando i contadini continuavano a coltivare la loro terra nonostante i sionisti, quando le ragazzine di sedici anni con madre e sorella appena ammazzate da Israele dicevano “nemmeno nei loro sogni ce ne andremo dalla Palestina”. La ho vista, forse un po' più in piccolo, in valle osservando questo popolo di montanari iniziare a lottare negli anni 90 e non essersi ancora arreso, anzi, intensificando la lotta di anno in anno, e trovando la capacità di coinvolgere in questa persone da fuori dimostrando -se fosse stato ancora necessario- che non si trattava di una lotta NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio giardino).

Avevo salutato Gaza con quel pezzo che si chiamava “ho imparato”. Ho imparato significa che oggi per me è necessario mettere in pratica quello che mi è stato insegnato. Io oggi per questo rivendico di aver partecipato all'assedio di un cantiere imposto dall'esterno sulle spalle di una popolazione che non lo vuole. Sono felice ed orgogliosa di essere stata li con decine di migliaia di persone che hanno agito in maniere differenti ma che -tutte!- avevano dalla loro la forza di sapere di essere nel giusto.
E ribadisco che la lotta portata avanti in valle non è qualche cosa di separato da quella portata avanti dai gazawi, o dai migranti nei CIE. Essa è la lotta, prima di tutto, dell'essere umano per la sua libertà, contro chi o cosa vuole privarlo di questa.

In Valsusa come a Gaza siamo tutti resistenza.


4 commenti:

  1. Non sono anonima ma firmo sotto.
    Come sempre lo condivido subito e come sempre sei speciale nei tuoi scritti.
    Fatti sentire
    MarnaSilvana

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  2. Cara Silvia, hai espresso perfettamente tutto quello che penso anch'io e per cui mi sono (e continuo) mobilitata, nelle mie possibilità! Questo, sarebbe da far leggere a quei tanti che non capiscono il collegamento che c'è tra queste lotte! E aggiugno, anche, che ai potenti fa paura la forza di internet che ha fatto nascere le primavere arabe, che da noi ha portato alla vittoria dei referendum! e per cui ieri c'è stata la notte della rete che oggi ha fatto rimandare a settembre la decisione dell'AGCOM!
    Sì, siamo tutti resistenza! "el pueblo unido jamás será vencido"!

    Un grande abbraccio!

    Valeria

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  3. Cara Silvia, sono assolutamente no Tav eppure all'inizio - lo confesso e me ne pento - non avevo capito cosa stesse accadendo relamente in Val Susa: pensavo fosse una guerra reciproca fra due gruppi contrapposti di cittadini. E non capivo neanche chi collegava la lotta in Val Susa con la lotta in Palestina. Ora capisco e capisco anche queello che è successo veramente avendo abbandonato le notizie dei quotidiani e dell'Ansa, che a volte non è meglio dei giornali, e avendo letto notizie riportate da due amici del web, soprattutto quelle riportate da una blogger molto conosciuta e impegnata che era presente in valle. E poi ho condiviso queste notizie anche sul mio blog.
    Bellissimo questo tuo articolo e condivisibilissimo!Ti ringrazio per queste tue bellissime parole degne della massima attenzione!
    Purtroppo ho appena letto una notizia negativa sul sito della "Stefano Chiarini", che è stato postato da pochissimo. Te la copio qui:

    http://www.freedomflotilla.it/2011/07/07/fermata-anche-la-dignite/

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  4. Ho trovato navigando su Internet che esiste un profilo su facebook dove invitano a scrivere Palestina libera sulle banconote. Io ho pensato che si potrebbe fare la stessa cosa anche per dire no alla Tav. Così sto scrivendo su tutte le mie banconote da un lato FREE PALESTINE e dall'altro NO TAV per diffondere un messaggio di libertà su tutti i fronti.

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