il primo dei diari sotto il nome "Sil".
“Potresti
fare l'insegnante. Ti piace insegnare no?” “Certo che mi piace.
Come mi piace fare il pane e scattare foto.” “E allora resta in
Italia! Perché andare a Gaza? Perché trovare ancora sofferenza?
Perché rischiare?”
Aspettando
di poter passare il confine. Vorrei dire a chi pone la domanda sopra,
che cerco di la da Rafah, non tanto la sofferenza o il rischio,
quanto la forza. Per esempio la forza di Taragi: viveva vicino al
confine, e rifiutava aiuto in denaro, chiedendo un'internazionale che
vivesse con lei e le sue figlie, perché non ne poteva più degli
spari la sera dal confine, e voleva che le sue bambine andassero a
scuola senza dover avere paura dei cecchini. Se le chiedevi perché
non se ne andava in un posto più tranquillo si arrabbiava, e diceva
ad alta voce “adha hardy, yani!” “questa è la mia terra,
affermo!”
Aspettiamo
i documenti. Dicono ci vorrà una settimana, tre giorni fa dicevano
che erano pronti, mannaggia a loro.
Vorrei
incontrare di nuovo la determinazione di alcuni contadini vicino a
Khan Younis ma anche altrove, che continuavano a coltivare la loro
terra a poche centinaia di metri dal confine, sebbene i bolldozer
sionisti avessero spianato ulivi aranci e mandorli, e sebbene sotto
tiro dei cecchini non riuscissero a coltivare altro che grano. La
stessa terra coltivata a grano per anni rende pochissimo, ma
continuavano ad andarci, per affermare che è la loro terra.
Una
settimana, in attesa di poter tornare.
Nel
cuore e negli occhi ho il coraggio travolgente di quelle migliaia di
giovani e meno giovani che il giorno della Nakba affermavano,
urlavano, “voglio tornare a casa” recandosi al valico di Erez
che divide Gaza dai territori occupati nel '48. Con il cecchino che
li colpiva da davanti, l'arma automatica da sinistra, e il carro
armato da destra. In tutto quel giorno ci sono stati 105 feriti ed un
morto, ma, nonostante questo, a migliaia manifestavano ad Erez per il
diritto al ritorno.
Aspettiamo,
e vorremmo passare al più presto.
Anche
perché il Cairo non è un bel posto in questo periodo. Ci sono i
carri armati che bloccano l'accesso ad alcune zone, tra cui fino a
ieri la centralissima piazza Tahrir, e c'è il coprifuoco notturno in
tutto il Paese (qui inizia a mezzanotte, ma in altre zone inizia
prima).
Aspettiamo
un pezzo di carta per poter passare. “la carta è solo carta, la
carta brucerà” ho sentito dire da delle belle persone tempo fa,
riguardo i permessi di soggiorno in Italia per migranti “stranieri”1.
Un'amica
di Gaza diceva “voi stranieri potete entrare e uscire dalla
striscia, potete andare in Cisgiordania, a Nablus, Al-Khalil,
Al-Quds. Noi che siamo palestinesi non possiamo vedere Gerusalemme!”
Sono sicura, amica mia, che vedrai Gerusalemme un giorno. E ne sono
sicura almeno per due ragioni. La prima è che se il tuo popolo ha
avuto la forza di resistere per così tanti decenni, non riuscirà né
la più becera propaganda né il quarto esercito più forte del mondo
a cacciarvi dalla vostra terra. La seconda ragione è che se mi
guardo attorno, e vedo quanti siamo, tutti assieme, collettivamente,
e osservo che se riusciamo a collaborare, se lavoriamo nella
consapevolezza di andare tutti nella stessa direzione anche se per
strade diverse, allora possiamo solo vincere.
Stiamo
ancora qui al Cairo, ad aspettare. Le notti scorse c'era la luna, era
strana, verticale, come non si vede mai da dove vengo io. Questa
notte non c'è nemmeno la luna. E aspettiamo.
I
burocrati egiziani non sembrano avere voglia di farci passare a
brevissimo.
Ma,
nonostante questo, mi sembra quasi di non voler essere in altro luogo
che qui. Perché so che, anche se fisicamente in questo istante siamo
solo in due, qui non siamo soli. Perché so che se noi siamo qui ad
aspettare di entrare a Gaza, è perché vi è stato qualcun altro
prima e perché altri arriveranno a darci il cambio dopo. Se noi
ancora attendiamo, qualcuno è già dentro. Ed è bello essere parte
di un movimento molto più grande e importante del nostro essere
fermi qui, di un movimento che comprende l'International Solidarity
Movement ma che al tempo stesso va molto oltre, comprende tantissime
variegate persone, altre campagne portate avanti. A farmi restare qui
è la coscienza che tutto ciò fa parte della lotta di liberazione di
un popolo che continua a resistere da più di 65 anni. È la
consapevolezza che la lotta contro il sionismo è parte della lotta
contro il sistema che lo necessita. Sapere di essere un puntolino
minuscolo in tutto questo mi infonde fiducia, e capite bene che
questo non è paradossale ma ovvio.
Perciò,
nonostante coprifuoco e carri armati, nonostante siano state
arrestate in Egitto persone che prima di noi hanno intrapreso questo
viaggio, probabilmente non desidererei essere in alcun altro luogo se
non qui - o già dentro Gaza, ovviamente ;) .
“si
può morire da muti
tranquillamente
seduti”
Sil
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