Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


sabato 30 novembre 2013

Un'incursione del 2006 le cui ferite ancora bruciano

Tratto da:  https://www.facebook.com/media/set/?set=a.612882055426409.1073741829 (indirizzo a cui potete trovare anche tutte le foto)

Jabal al-Kashef è un villaggio a est di Jabalia, nel nord della striscia di Gaza.
La barriera di separazione si vede in lontananza, al di la di alcuni campi coltivati con alberi di limoni arance e olive giovani e bassi. Gli alberi da frutto sono giovani e bassi perché dal 2006 sono stati sradicati tre volte, e tre volte sono stati ripiantati.
“Mia figlia ha passato due settimane sotto shock senza parlare. Per una settimana non riconosceva nemmeno i familiari e non si ricordava il suo nome. Aveva dieci anni durante l'incursione del 2006, quando, per 17 giorni, 21 soldati hanno invaso la nostra casa. Sono entrati sbattendo forte sulla porta ed urlando, hanno preso mio marito e lo hanno portato fuori, e poi sono entrati in casa nostra. Lo hanno spogliato e interrogato, domandandogli della resistenza: per ore non abbiamo avuto modo di comunicare con lui, non sapevamo come stesse ne' cosa gli stessero facendo; e nemmeno lui sapeva cosa ne fosse stato di noi. Durante i 17 giorni in cui le forze di occupazione avevano invaso la nostra casa noi siamo rimasti rinchiusi nel sottoscala, eravamo le mie figlie di 10 e 13 anni, i miei figli di 11 e 12 anni, mio marito, mia suocera ed io. La luna rossa non riusciva ad arrivare nell'area, e quindi non poteva portarci cibo, gli ultimi giorni mettevamo del pane nel tè per poter sfamare i bambini, mentre i soldati ci puntavano le armi contro. I soldati hanno scritto offese sconce sui muri, hanno reso inservibili i mobili e li abbiamo dovuti ricomprare. Mio marito piangeva, domandando come siamo arrivati a questo punto, in cui non poteva nemmeno dare da mangiare ai suoi figli, in cui non riuscivamo ad avere coperte...” Racconta Suad, descrivendo un'incursione nell'ottobre 2006. “Nello stesso periodo hanno distrutto 5 dunam dei nostri alberi, avevamo aranci, olivi, limoni: come tutti, qui, vivevamo di quello. Sono tornati a casa nostra anche durante piombo fuso e colonna di difesa, le hanno dato fuoco, ci hanno lanciato due missili che sono arrivati nella stanza da letto e in ingresso, provocando delle crepe che fanno passare l'acqua, mentre l'edificio è crivellato di colpi di arma da fuoco israeliano.”



A pochi passi dalla casa di Suad vive un’altra famiglia il cui intero sostentamento è basato sull’agricoltura.
Il marito di Sana'a, laureato in biologia, possiede circa 30 dunam di terra e prima dell’assedio imposto da Israele alla Striscia di Gaza era in grado di esportare fino 1.100 tonnellate di clementine all’anno. Oggi, non riesce più ad esportare niente.
La sua casa, da cui si può vedere in lontananza la no-go zone e i territori occupati nel ’48, è stata più volte bersaglio di missili ed incursioni israeliane.
Nell’incursione dell’esercito d’occupazione israeliano dell’Ottobre 2006, Sana'a sventolò un lenzuolo bianco alla finestra ai soldati israeliani per segnalare la sua presenza all’interno della casa, prima che venisse attaccata.
Più di un missile ha colpito la casa e ne ha penetrato le pareti e distrutto i balconi, mentre i fori dovuti alle esplosioni delle bombe costellano le pareti esterne della sua abitazione. Perfino le cisterne d’acqua sul tetto sono state distrutte. Molti membri della sua famiglia presentano problemi alle orecchie data l’esposizione dell’apparato uditivo al frastornante fragore delle esplosioni.
Ma gli effetti psicologici sono molto più gravi di quelli materiali.
La televisione viene accesa per sentire sempre i costanti allarmi di una possibile nuove incursione dell’esercito d’occupazione.
Il rumore dei droni che sorvolano le terre vicino al confine è incessante e rende nervosa tutta la famiglia.
“Ho visto distruggere la mia terra senza poter fare nulla. Siamo gente pacifica ma abbiamo il diritto di vivere sulla nostra terra. Rispettiamo tutti gli esseri umani ma vogliamo essere rispettato a nostra volta. Non lasceremo la nostra terra” dice il marito di Sana'a.
La qualità dei frutti degli alberi dei suoi campi è inficiata dalla contaminazione del fosforo nel terreno e dal fatto che sono stati più volte recisi.
“Abbiamo bisogno che le persone del mondo, ovunque esse vivano, portano pressioni al loro governo per porre fine ai crimini israeliani”, ha aggiunto.


Una loro vicina di casa è ancora shockata. Anche solo per fare mente locale al 2005 diventa nervosa. Mentre parla lo sguardo è vuoto, inespressivo; a tratti le trema la voce, e il suo suono copre quello dovuto al ronzare dei droni. Racconta di come li sentì arrivare, mentre era a letto con suo marito, lei diceva che aveva sentito dei rumori, e lui per tranquillizzarla l'aveva buttata in ridere. Ma suo marito aveva mal di testa, così lei era scesa a prendere delle medicine. Sentì bussare alla porta, e chiese chi è. Nessuna risposta. Bussarono di nuovo. Domandando nuovamente chi fosse, ancora non ricevette nessuna risposta. Allora si avvicinò alla porta e scoprì che era stata danneggiata. Nel giro di un minuto il cortile era pieno di soldati, ed uno le puntava l'arma alla testa. Andarono a prendere suo marito, e i figli che stavano dormendo: i bambini erano terrorizzati, erano quattro bambine e due bambini, la più piccola di un anno e la più grande di 14. Chiusero tutta la famiglia in una stanza, obbligandoli a chiedere il permesso anche solo per andare in bagno. Erano forze speciali, e quindi i vicini non sapevano della loro presenza, fino a che non uccisero un uomo di fronte a casa loro, e dichiararono la loro presenza con un altoparlante. “Qualunque cosa ti dica di quell'invasione non potrò mai riuscire a spiegare i miei sentimenti. Penso alla guerra quando mi sveglio, penso alla guerra quando vado a dormire. Ho sempre il terrore che possano uccidere i miei figli, o mio marito, o me stessa. Non posso sentirmi sicura perché vivo nell'incubo di un nuovo attacco.” Le violenze sioniste non sono semplicemente, quindi, quelle fisiche: sono anche quelle che fanno sì che ogni drone, ogni F16, ogni sound bombe ed ogni sparo ricordi a chi è già stato attaccato che può accadere di nuovo, in qualsiasi momento. 

p.s.: pubblico qui questo articolo anche se non è un lavoro solo mio ma collettivo.

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