26 prigionieri politici
che si trovavano nelle carceri israeliane da prima degli accordi di
Oslo sono stati rilasciati la notte del 30 dicembre, mentre altri
quasi 5000 restano, contro la legge internazionale, in prigioni che
si trovano nei territori occupati nel '48.
Umm Dia'a pensava che tra
i prigionieri rilasciati ci fosse anche suo figlio, glielo avevano
detto i vicini, glielo avevano confermato diverse voci, si era
preparata per festeggiare, aveva invitato gli amici. Però i sionisti
hanno rilasciato la lista di chi veniva liberato solo il giorno
prima, e suo figlio non c'era; c'era Rami, il figlio di una sua
amica, che invece non se l'aspettava. In tutto, erano presenti 3
prigionieri da Gaza. Umm Dia'a era talmente triste che non si è
nemmeno presentata al presidio settimanale in solidarietà con i
prigionieri che si svolge davanti alla croce rossa, dove invece chi
aveva ricevuto la buona notizia festeggiava offrendo pasticcini a
tutti i partecipanti. Forse Dia'a verrà liberato con il prossimo
gruppo, infatti i 26 prigionieri liberati questa notte sono il terzo
gruppo di quattro gruppi, che comprendono in tutto 104 prigionieri
politici palestinesi, che si trovano nelle carceri israeliane da
prima di Oslo, che Israele ha promesso di liberare come segno di
buona volontà per ricominciare i cosiddetti colloqui di pace.
Dia'a e Rami sono stati
sequestrati dai sionisti quando avevano 16 e 15 anni. Da allora,
hanno passato la maggior parte della loro vita in carcere, potendo
ricevere solo sporadicamente visite da parte della loro famiglia,
senza poter terminare gli studi... Rami ora ha 35 anni, di cui 20
passati in carcere, con l'accusa di combattere contro un'occupazione
militare, essa sì illegale, ingiusta e assassina. Due giorni dopo il
rilascio, amici e parenti stanno ancora festeggiando: è stata
costruita una tenda, e chiunque può andare a stringere la mano e
dare il benvenuto a quest'uomo tornato finalmente a casa, che quando
era partito era solo un adolescente. Rami si trova in un mondo
diverso da quello che aveva lasciato, la popolazione di Gaza è
aumentata di molto, le persone, la situazione politica, tutto è
cambiato. Eppure, nonostante l'inevitabile shock, quando lo
incontriamo ha le idee chiare su cosa vuole: mentre lui può
riabbracciare la sua famiglia, altri 5000 prigionieri politici
restano illegalmente nelle carceri sioniste. Ha tenuto quindi a
raccontarci un caso particolare, che sappiamo essere uno su tanti:
“tra gli altri che restano in carcere c'è un mio amico, ha
problemi di salute, dovrebbe ricevere delle cure che non riceve. Si
chiama Ibrahim Elbitar, fate in modo che lo liberino, che possa
curarsi!”
La notizia è quindi che
Israele libera questi 104 prigionieri politici palestinesi in segno
di buona volontà per gli accordi di pace. Libera, appunto, 104
prigionieri mentre 5000 restano ancora in carcere, contro le
convenzioni internazionali, contro il buonsenso, ingiustamente, e col
silenzio complice delle istituzioni e degli organismi internazionali.
Tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sono
prigionieri politici; secondo la quarta convenzione di Ginevra,
Israele in quanto potere occupante, non ha diritto di deportare
abitanti di Gaza o Cisgiordania nei territori del '48. La presenza
stessa dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è quindi
di per se stessa illegale, oltre che orribile: la liberazione di
circa il 2% di questi prigionieri, non ci porta più avanti del 2%
del percorso verso la giustizia per tutti i prigionieri politici
palestinesi nelle carceri israeliane.
Addameer, associazione
per i diritti umani che si occupa dei prigionieri politici
palestinesi nelle carceri israeliane, ricorda come prima dell'inizio
di molte di queste fasi del cosiddetto processo di pace siano stati
liberati diversi prigionieri. Ma nel frattempo altri venivano
arrestati, cosicché il numero totale di prigionieri politici
palestinesi rimaneva pressoché costante. Inoltre, non venivano
cambiate le pratiche sioniste come quella della detenzione
amministrativa, che prevede il carcere senza che venga dichiarata la
ragione dell'arresto. Non solo: i prigionieri liberati in questi casi
devono sottostare ad alcune regole, per esempio chi viene liberato a
Gaza non può uscire dalla Striscia per 10 anni, e non può essere
coinvolto in attività politica. Dopodiché, se vengono riarrestati,
devono scontare tutta la pena che non hanno scontato grazie allo
scambio. Un esempio famoso di questo caso sia Samer Issawi, che,
rilasciato con lo scambio con Gilad Shalid, è stato sequestrato di
nuovo dalle forze di occupazione e incarcerato con la formula della
detenzione amministrativa, e avrebbe dovuto scontare nuovamente tutta
la pena, se non avesse messo in gioco la sua vita tramite un
lunghissimo sciopero della fame che è riuscito ad attirare
l'attenzione internazionale e ha infine portato ala sua liberazione a
Gerusalemme.
Mentre questi prigionieri
vengono rilasciati, Israele promette un'ulteriore espansione delle
colonie illegali in Cisgiordania e Gerusalemme, e la notizia passa in
secondo piano, facendo apparire come un segno di buona volontà da
parte di Israele la liberazione di questi prigionieri, mentre
l'espansione coloniale illegale non viene considerata un ostacolo
insormontabile al “processo di pace”. Forse dovremmo cambiare il
linguaggio, smettere di sforzarci di ottenere un processo di pace, e
puntare verso un processo di decolonizzazione: porterebbe più
rapidamente alla giustizia e quindi, infine, alla pace. Tanto più
che questo “processo di pace” ha sempre più l'apparenza di un
“progetto di espansione coloniale sionista.”
Nonostante la gioia per
la liberazione di questi detenuti, quindi, la vittoria politica
appare quantomeno parziale. Addameer chiede, pertanto, il rilascio di
tutti i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane:
così come è successo per il Sudafrica, chiede che la liberazione di
tutti i detenuti sia presupposto antecedente all'inizio del
cosiddetto processo di pace.
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