Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


domenica 17 agosto 2014

Io so che vinceremo, e che stiamo vincendo.


Tempo fa, chattando con un amico che vive ad Hebron, gli spiegavo che non potevo andarlo a trovare perché, essendo in lista nera israeliana, non potevo entrare in Cisgiordania. Lui mi rispondeva “beh, allora ci vedremo in una Palestina libera”, e io gli rispondevo: si, certo; per non rovinare il suo ottimismo. Ma in fondo non credevo che davvero avrei potuto, un giorno, incontrarlo in una Palestina libera.


Poi, è venuto questo attacco si Gaza. Attacco sionista genocida. Un attacco più assassino di piombo fuso, più devastante di un terremoto di ottavo grado. Un attacco dove hanno perso la vita amiche, e durante il quale sono stati distrutti luoghi dove ho vissuto. Attacco infame, perché colpiva le abitazioni, perché colpiva deliberatamente i bambini, le infrastrutture come scuole ed ospedali. E nel concentrarci nel descrivere quanto i sionisti possano essere inumani nel colpire scuole e bambini, ci siamo dimenticat* di fare un'osservazione basilare: non si vince una guerra ammazzando i bambini, o distruggendo sucole ed ospedali. Una guerra, la si vince ammazzando i combattenti. Voglio dire, che se tu mi punti contro un fucile, e io, invece che colpire te, colpisco il tuo vicino che il fucile non ce l'ha, non sto affatto liberandomi della minaccia del tuo fucile. Sto solo cercando di convincere chi osserva la scena che reagisco alla minaccia del tuo fucile puntato contro, ma non elimino la minaccia. Non solo: se te mi punti un fucile contro ed io colpisco qualcun altro, è probabile che lo faccia perché non sono in grado di colpire te. Allo stesso modo Israele, quando bombarda i bambini, non fa un passo avanti nella lotta contro la Resistenza palesinese, ma mira a convincere la sua opinione pubblica che non sta con le mani in mano. Non solo: appare troppo chiaro come, purtroppo, quello che fa l'entità sionista è attaccare civili per rappresaglia, dal momento che il suo esercito viene colpito concretamente dalla Resistenza del popolo palestinese. Così facendo, le forze di occupazione non avanzano di un millimetro verso la vittoria; ma addirittura ammettono implicitamente la propria inferiorità.

Le forze di occupazione israeliane, entrando a Gaza, avevano due obiettivi dichiarati: distruggere i tunnel, e disarmare la Resistenza palestinese (che viene strumentalmente identificata solo con Hamas). I tunnel sono stati distrutti in poco tempo, ma l'invasione via terra si è ritirata ben prima di riuscire a rendere inoffensiva la Resistenza. Anzi. Se ne è andata con decine (se non centinaia) di perdite, senza nemmeno riuscire a trovare una scusa per la precipitosa ritirata. Vale la pena ricordare che, secondo i dati ufficiali, i soldati israeliani uccisi sono 64 (96% delle vittime israeliane) e gli appartenenti a gruppi di resistenza palestinesi uccisi sono 335 (17% delle vittime palestinesi). Dati non ufficiali e non verificati parlano di centinaia di vittime tra le fila dell'esercito israeliano.

E poi, c'è la Cisgiordania. Prima che iniziasse l'attacco a Gaza, in molti pensavano che la Cisgiordania, succube dell'ANP collaborazionista con israele, non si sarebbe mossa in solidarietà con Gaza. La falsità di queste previsioni è sotto gli occhi di tutti: le manifestazioni e gli scontri in solidarietà con Gaza si sono svolti anche durante il Ramadan, e sono tutt'ora in corso. C'è chi dice che l'attacco militare a Gaza ha avuto luogo perché in Cisgiordania stava nascendo una terza intifada, e Israele aveva tutto l'interesse a spostare il conflitto su un piano armato. Ma questa presunta terza intifada non sembra essere stata arrestata da tutto ciò, anzi, sembra essersene rinvigorita. E se, da un lato, è sotto gli occhi di tutt* come la Resistenza armata di Gaza sia riuscita in un mese a fare ciò che i comitati popolari non sono stati in grado di fare in diversi anni, dall'altro è altrettanto sotto gli occhi di tutti che se i comitati popolari non avessero lavorato così alacremente, probabilmente la stessa resistenza armata palestinese sarebbe stata più isolata, e meno efficace. Anche in quest'occasione, il popolo palestinese ci ha lasciato una lezione di vita e di lotta: tutte le forme di Resistenza sono necessarie, tutte vanno nella stessa direzione.
E tra queste, senza dubbio, c'è anche la solidarietà internazionale: sebbene le manifestazioni in solidarietà con la Palestina siano state messe sotto silenzio dai media delle nostre democrazie, sono state talmente tante in tutto il mondo da rendere impossibile ignorarle. Il movimento di denuncia e sanzione dei legami tra Israele e il resto del mondo sta crescendo, e non può più essere ignorato... e sono profondamente convinta che questa solidarietà abbia contribuito alla vittoria palestinese.

Aspetteremo la fine dei negoziati, per vedere quanto effettivamente la Resistenza sarà riuscita a strappare all'occupante. Se avranno "solo" qualche decina di miglia marine in più e qualche chilomentro quadrato di terra coltivabile in più, se effettivamente verranno rilasciati degli altri prigionieri politici dalle carceri israeliane, e fino a che punto il blocco verrà allentato. 

Certe volte, ho l'impressione che ci siano degli schemi di cui facciamo fatica a liberarci. Delle cose di cui siamo irrazionalmente convint*. Una di queste, è il fatto che il Potere sia inattaccabile: certo, lo combattiamo tutti i giorni, ma troppo spesso siamo convint* che non raggiungeremo un cambiamento radicale, perlomeno, non nel breve termine. Io penso che qualche cosa di simile stia accadendo con la questione sionista: siamo troppo convinti che Israele sia inattaccabile, che sia troppo forte, da poter essere sconfitto. Certo, ci impegnamo nell'evidenziare le complicità tra il nostro Paese e l'entità sionista; certo, apprezziamo quando i palestinesi difendono la loro terra; certo, scendiamo in piazza, facciamo informazione, firmiamo petizioni, portiamo avanti azioni dirette, ma troppo spesso tutto questo è accompagnato da una disillusione frustrante. Penso che sia piuttosto idiota pensare di fare tutto questo senza essere fermamente convint* di poter vincere. E il punto è che non solo possiamo vincere, ma sono convinta che vinceremo di sicuro.

E concludo dicendo che, considerare quello che è successo a Gaza come una sconfitta, è fondamentalmente una mancanza di rispetto. Una mancanza di rispetto verso chi ha lottato. Una mancanza di rispetto verso chi è morto o verso chi ha perso i suoi cari. E, non da ultimo, una mancanza di rispetto verso noi stessi; perché nessun* di noi è così stupid* da investire energie e lottare per una causa che sa di non poter vincere.

Ed ora, mentre cercate di capire se sono compleamente folle o se vale la pena di modificare gli schemi pessimisti con cui abbiamo pensato finora, ascoltatevi questa canzone.

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