Tempo fa, chattando
con un amico che vive ad Hebron, gli spiegavo che non potevo andarlo
a trovare perché, essendo in lista nera israeliana, non potevo
entrare in Cisgiordania. Lui mi rispondeva “beh, allora ci vedremo
in una Palestina libera”, e io gli rispondevo: si, certo; per non
rovinare il suo ottimismo. Ma in fondo non credevo che davvero avrei
potuto, un giorno, incontrarlo in una Palestina libera.
Poi, è venuto
questo attacco si Gaza. Attacco sionista genocida. Un attacco più
assassino di piombo fuso, più devastante di un terremoto di ottavo
grado. Un attacco dove hanno perso la vita amiche, e durante il quale
sono stati distrutti luoghi dove ho vissuto. Attacco infame, perché
colpiva le abitazioni, perché colpiva deliberatamente i bambini, le
infrastrutture come scuole ed ospedali. E nel concentrarci nel
descrivere quanto i sionisti possano essere inumani nel colpire
scuole e bambini, ci siamo dimenticat* di fare un'osservazione
basilare: non si vince una guerra ammazzando i bambini, o distruggendo sucole ed ospedali. Una guerra,
la si vince ammazzando i combattenti. Voglio dire, che se tu mi punti
contro un fucile, e io, invece che colpire te, colpisco il tuo vicino
che il fucile non ce l'ha, non sto affatto liberandomi della minaccia
del tuo fucile. Sto solo cercando di convincere chi osserva la scena
che reagisco alla minaccia del tuo fucile puntato contro, ma non
elimino la minaccia. Non solo: se te mi punti un fucile contro ed io
colpisco qualcun altro, è probabile che lo faccia perché non sono
in grado di colpire te. Allo stesso modo Israele, quando bombarda i
bambini, non fa un passo avanti nella lotta contro la Resistenza
palesinese, ma mira a convincere la sua opinione pubblica che non sta
con le mani in mano. Non solo: appare troppo chiaro come, purtroppo,
quello che fa l'entità sionista è attaccare civili per
rappresaglia, dal momento che il suo esercito viene colpito concretamente dalla Resistenza del popolo palestinese. Così facendo, le
forze di occupazione non avanzano di un millimetro verso la vittoria;
ma addirittura ammettono implicitamente la propria inferiorità.
Le forze di
occupazione israeliane, entrando a Gaza, avevano due obiettivi
dichiarati: distruggere i tunnel, e disarmare la Resistenza
palestinese (che viene strumentalmente identificata solo con Hamas). I
tunnel sono stati distrutti in poco tempo, ma l'invasione via terra
si è ritirata ben prima di riuscire a rendere inoffensiva la
Resistenza. Anzi. Se ne è andata con decine (se non centinaia) di
perdite, senza nemmeno riuscire a trovare una scusa per la
precipitosa ritirata. Vale la pena ricordare che, secondo i dati
ufficiali, i soldati israeliani uccisi sono 64 (96% delle vittime
israeliane) e gli appartenenti a gruppi di resistenza palestinesi
uccisi sono 335 (17% delle vittime palestinesi). Dati non ufficiali e
non verificati parlano di centinaia di vittime tra le fila
dell'esercito israeliano.
E poi, c'è la
Cisgiordania. Prima che iniziasse l'attacco a Gaza, in molti
pensavano che la Cisgiordania, succube dell'ANP collaborazionista con
israele, non si sarebbe mossa in solidarietà con Gaza. La falsità
di queste previsioni è sotto gli occhi di tutti: le manifestazioni e
gli scontri in solidarietà con Gaza si sono svolti anche durante il
Ramadan, e sono tutt'ora in corso. C'è chi dice che l'attacco
militare a Gaza ha avuto luogo perché in Cisgiordania stava nascendo
una terza intifada, e Israele aveva tutto l'interesse a spostare il
conflitto su un piano armato. Ma questa presunta terza intifada non
sembra essere stata arrestata da tutto ciò, anzi, sembra essersene
rinvigorita. E se, da un lato, è sotto gli occhi di tutt* come la
Resistenza armata di Gaza sia riuscita in un mese a fare ciò che i
comitati popolari non sono stati in grado di fare in diversi anni,
dall'altro è altrettanto sotto gli occhi di tutti che se i comitati
popolari non avessero lavorato così alacremente, probabilmente la
stessa resistenza armata palestinese sarebbe stata più isolata, e
meno efficace. Anche in quest'occasione, il popolo palestinese ci ha
lasciato una lezione di vita e di lotta: tutte le forme di Resistenza
sono necessarie, tutte vanno nella stessa direzione.
E tra queste, senza
dubbio, c'è anche la solidarietà internazionale: sebbene le
manifestazioni in solidarietà con la Palestina siano state messe sotto silenzio dai media delle
nostre democrazie, sono state talmente tante in tutto il mondo da
rendere impossibile ignorarle. Il movimento di denuncia e sanzione
dei legami tra Israele e il resto del mondo sta crescendo, e non può
più essere ignorato... e sono profondamente convinta che questa
solidarietà abbia contribuito alla vittoria palestinese.
Aspetteremo la fine dei negoziati, per vedere quanto effettivamente la Resistenza sarà riuscita a strappare all'occupante. Se avranno "solo" qualche decina di miglia marine in più e qualche chilomentro quadrato di terra coltivabile in più, se effettivamente verranno rilasciati degli altri prigionieri politici dalle carceri israeliane, e fino a che punto il blocco verrà allentato.
Certe volte, ho
l'impressione che ci siano degli schemi di cui facciamo fatica a
liberarci. Delle cose di cui siamo irrazionalmente convint*. Una di
queste, è il fatto che il Potere sia inattaccabile: certo, lo
combattiamo tutti i giorni, ma troppo spesso siamo convint* che non
raggiungeremo un cambiamento radicale, perlomeno, non nel breve
termine. Io penso che qualche cosa di simile stia accadendo con la
questione sionista: siamo troppo convinti che Israele sia
inattaccabile, che sia troppo forte, da poter essere sconfitto.
Certo, ci impegnamo nell'evidenziare le complicità tra il nostro
Paese e l'entità sionista; certo, apprezziamo quando i palestinesi
difendono la loro terra; certo, scendiamo in piazza, facciamo
informazione, firmiamo petizioni, portiamo avanti azioni dirette, ma
troppo spesso tutto questo è accompagnato da una disillusione
frustrante. Penso che sia piuttosto idiota pensare di fare tutto
questo senza essere fermamente convint* di poter vincere. E il punto
è che non solo possiamo vincere, ma sono convinta che
vinceremo di sicuro.
E concludo dicendo
che, considerare quello che è successo a Gaza come una sconfitta, è
fondamentalmente una mancanza di rispetto. Una mancanza di rispetto
verso chi ha lottato. Una mancanza di rispetto verso chi è morto o
verso chi ha perso i suoi cari. E, non da ultimo, una mancanza di
rispetto verso noi stessi; perché nessun* di noi è così stupid*
da investire energie e lottare per una causa che sa di non poter
vincere.
Ed ora, mentre
cercate di capire se sono compleamente folle o se vale la pena di
modificare gli schemi pessimisti con cui abbiamo pensato finora,
ascoltatevi questa canzone.
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