Mi
continuano a mostrare foto di persone che mi raccontano che poi sono
state ammazzate. Di persone rapite dall'ISIS. E mi dicono che
vogliono andare a combattere. Sono ragazzini ventenni, o meno che
ventenni. Sono uomini di 30 anni, o anche di 40. E qualche volta mi
domando perché. Cioè, cosa spinga un ragazzo o una ragazza ad amare
la vita al punto da combattere rischiando di perderla. Rischiando di
perderla pur di avere una vita che valga la pena di essere vissuta.
E
i curdi turchi lo sanno, certo che lo sanno, che se tornano poi c'è
la polizia turca che li incarcera, perché li considera parte di
un'organizzazione illegale. Sanno benissimo che per diverso tempo
saranno in pericolo nelle loro terre. Tutti coloro che stanno
dall'altra parte a difendere concretamente la loro terra, siano
turchi, siriani o anche nelle decine di occidentali presenti, sanno
che potrebbero rimanere bloccati dall'altra parte del confine per
mesi se non anni, perché è sempre possibile che l'ISIS si prenda
anche questo lato della città. Questi combattenti non solo sanno che
potrebbero essere rapiti o morire, ma anche che potrebbero vedere i
loro migliori amici.
Le
informazioni ufficiali parlano di circa 1000 donne dentro le YPJ e
qualche migliaio di uomini dentro le YPG. Qualcuno mi ha detto che è
come la rivoluzione in Spagna. Qualcuno mi ha detto che è per la
libertà. Qualcuno spiegava che è la guerra delle donne, che sono
loro le protagoniste. Qualcuna, cantava canzoni (le canzoni dicono
molto, da queste parti, dove praticamente l'unica canzone italiana
che conoscono è bella ciao). Qualcuno combatte anche per poter
parlare la propria lingua, e ancora una volta canta canzoni, perché
quando era proibito scrivere o leggere in curdo era tramite le
canzoni che si tramandavano le storie. Qualcuno diceva che dentro
l'ISIS ci sono tutti gli interessi occidentali, e vuole combatterlo
per difendere la proposta fondamentalmente diversa che è
rappresentata dal Rojava. Qualcuno difende la libertà del Rojava,
appunto, la partecipazione diretta alle decisioni,
l'antiautoritarismo. Qualcuno, spiega che il vero nemico dei curdi è
Erdogan, e che l'ISIS è solo un suo riflesso. Qualcuno va perché le
foto della sua casa, della sua famiglia, della sua gente, dei suoi
animali...tornino ad esser vita reale. Qualcuno perché da il cambio
al fratello, che è giusto che si riposi. Qualcuno, dice che comunque
non riuscirebbe a vivere sapendo di non avere combattuto. Qualcuno
combatte per i bambini, che alzano le due dita in segno di vittoria,
e che urlano "Bijî
YPJ! Bijî YPG!” (viva YPJ; viva YPG), perché sanno che è l'unica
possibilità, per loro, di tornare a casa e non passare la vita come
profughi.
E
chi va a combattere, ma anche chi resta da questa parte in
solidarietà, è “Heval”. “Heval” cerca di indovinare di cosa
hai bisogno prima che tu lo chieda. “Heval” sta al tuo fianco
quando sei malata. “Heval” porta aiuti per i profughi da
Istanbul, o da Amet, o da qualsiasi altra città. “Heval”
imbraccia un fucile e combatte. “Heval” sa che è importante
condividere tutto. “Heval” non si declina al maschile o al
femminile, è lo stesso per tutte/i. Se chiedi la traduzione di
“Heval”, qui rispondono che significa amico. Il fatto è che qui
ci si chiama con l'appellativo di “Heval” anche tra persone che
non si conoscono. Tra persone che non parlano la stessa lingua (ma,
si sa, l'essenziale non si comunica a parole). “Heval” si usa
tra persone che sono accomunate da qualche cosa di più dell'essere
amici. Da un obiettivo comune, molto molto concreto, che ha poco a
che vedere col sogno e molto con la vita vissuta. La traduzione
esatta di “Heval” è compagno/a, ed è una parola bellissima.
“Heval” è già di per se una buona ragione per combattere.
E
vorrei gridare in faccia a tutti questi buonisti, a cui la guerra
sembra una cosa brutta perché non hanno ancora trovato la loro
ragione per combattere, vorrei dichiarare di fronte a questi
perbenisti che si sentono abbastanza in alto da giudicare
negativamente qualsiasi arma od uniforme, che se io non sono
dall'altra parte con un fucile in mano, forse è davvero solo perché
ancora non amo la vita abbastanza. Non amo la vita abbastanza da
rischiare di perderla per averne una che valga la pena di essere
vissuta.
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