Al
campo Newroz pioviggina. Anzi piove. Ci sono pozzanghere e fango.
Bisogna stare attenti a non scivolare nel fango, e certe volte non è
facile, soprattutto quando non c'è corrente e ci si muove con la
luce del cellulare.
Alan
è uno degli abitanti del Rojava che qui si da da fare nel comitato
per le relazioni. Spiega che tutto è organizzato in comitati: c'è
la scuola dove i ragazzi imparano in curdo, ci sono le attività
organizzate dal centro culturale per insegnare ai bambini il canto e
la danza, c'è la tenda delle donne dove si studia la storia delle
donne e del Kurdistan, c'è la tenda degli uomini dove si studia la
storia del kurdistan e si può vedere la televisione, c'è il
comitato per i servizi che si occupa di organizzare i lavori
necessari nel campo, eccetera, eccetera. Nuri, invece, è originario
di Shengal e parla inglese molto bene, portandomi in giro nel campo e
traducendo le interviste, ma non dimenticando di raccontare la storia
della sua gente. Quando mi porta nella tenda della sua famiglia per
mangiare e dormire e mi domanda: “hai presente un libro che si
chiama “il Principe”, scritto da Macchiavelli? In quel libro c'è
una frase: “il fine giustifica i mezzi.” Ecco, noi siamo i mezzi
sacrificati per il fine dell'occidente e degli altri Stati qui
attorno. Però non siamo stupidi, no, noi capiamo cosa succede.”
La
fuga da Shengal
Racconta
Nuri che “mentre i Peshmerga, codardi, se ne scappavano dalla
nostra città, le bande dell'ISIS rapivano le nostre donne, anche
ragazzine di 9-12 anni, e le hanno portate via per venderle, oppure
per violentarle.” Mi guarda negli occhi con degli occhi neri –
Nuri ha esattamente la mia età – e mi domanda “hai un'idea di
cosa significhi sapere che le ragazze della tua gente sono state
rapite per essere violentate o vendute? A migliaia. Tutti qui ti
racconterebbero la stessa storia, ma non in molti hanno la forza di
farlo. Fa male a pensarci, ogni volta che ci penso sento come una
pietra nel petto, mi si blocca il pensiero. Sono state portate a
Raqqa, o vendute in Arabia Saudita o nello Yamen. Violentate e
vendute, le donne yazide nelle mani di quegli sporchi individui. Se
chiudo gli occhi sento le loro urla nelle orecchie. Quando siamo
scappati nelle montagne, alcune si sono gettate dalle alture pur di
non andare in mano agli uomini dell'ISIS. So che ad una di loro hanno
tagliato il seno perché si è rifiutata di andare in sposa ad un
uomo dell'ISIS, l'hanno lasciata sanguinare a morte, ed hganno
portato le altre a vedere. Le nostre donne stavano urlando talmente
forte da far piangere gli angeli nel cielo.” Parlando di angeli,
Nouri spiega che secondo la loro religione, monoteista e antica più
di 6000 anni, c'è un unico Dio e sette angeli, e conclude “persone
che credono in Dio non possono fare questo. Per loro, Dio è solo uno
slogan.” Parlando di religione, poi, spiega come durante il
genocidio degli armeni la sua gente abbia offerto rifugio a questo
popolo di religione cristiana. “e i cristiani, adesso, dove sono?
Che penserebbe il Papa se vedesse questo? Che fanno gli Stati Uniti,
che pretendono così spesso di agire in nome di Dio?” Poi racconta
della fuga verso le montagne: “Abbiamo lasciato indietro cadaveri
dei nostri cari senza poter dare loro nemmeno una degna sepoltura,
mentre altri sono stati ammazzati mentre scappavano. Durante il
viaggio non c'era cibo o acqua, molti bambini sono morti. Molti sono
stati costretti a lasciare i propri nonni a casa, perché non
riuscivano a trasportarli nelle montagne, ci sono migliaia di anziani
ora nelle mani dell'ISIS; addirittura alcune donne hanno partorito
durante il tragitto ma non sono riuscite a portare i propri figli con
se', perché dovevano prendersi cura degli altri, non ce la facevano.
Poi le montagne ci hanno nascosto e ci hanno protetto, è come se i
monti fossero una nostra seconda madre. Lassù ci sono ancora 1700 –
2000 famiglie, sono isolate e non riescono a scappare. Il fine
giustifica i mezzi, e noi siamo i mezzi sacrificabili.” “Li a
difendere la nostra gente rimasta sulle montagne ci sono le YPJ-YPG
(unità armate del Rojava) le HPG (gruppi di guerriglia del PKK –
dalle montagne del Kurdistan turco) e le YBȘ
(Yakinen Brexwedana Șingal
– Unità di resistenza di Șingal), ed
io accuso non solo l'ISIS e le tribù iraqene che ci hanno attaccato,
ma anche il KRG (curdi
iraqeni) che non ci hanno difeso, coloro
che finanziano l'ISIS e comperano il suo petrolio, coloro che lo
hanno creato, coloro che ci considerano solo degli
espedienti per i loro
piani nel medio oriente: coloro per i quali siamo i mezzi
giustificati da un fine che non ci riguarda.”
Dopo
aver spiegato che i rifugiati Iazidi di Shingal non si trovano solo
in questo campo profughi, ma anche in Turchia, Georgia e Armenia, si
raccomanda che
scriva una frase sotto dettatura: “noi non accusiamo l'ISIS, lui fa
ciò che vuole, noi accusiamo
voi che siete Paesi ed organizzazioni grosse e non fate il possibile.
Voi potete fare molte
cose!”
Il
campo Newroz
Dopo
la fuga, circa 6000 abitanti della zona di Shingal sono giunti
appunto al campo Newroz, in Rojava, cantone di Gizira. Sono circa 700
famiglie Yazide e una ventina di famiglie di origine araba. La
copertura delle tende è fornita dall'UNHCR, ed è gestito dallo
stesso ente in collaborazione con il cantone di Gizira. Nelle strade
tra le tende non c'è nulla che freni il fango, a parte qualche grumo
di sassi qui e li. Alcuni bambini fortunati hanno degli stivali di
plastica qualche taglia troppo grandi, qualche altro meno fortunato
ha solo delle ciabatte. La pavimentazione delle tende consiste in
alcuni teli di nylon e tappeti, mentre la copertura è fatta di
materiale impermeabile ma infiammabile (è già successo che una
tenda andasse a fuoco, mi spiegano al campo), e privo di strati
isolanti di cui invece sono dotate per esempio le tende dei campi
profughi di Pirsus-Suruc. Non c'è riscaldamento all'interno delle
tende, e di notte fa freddo: l'UNHCR fornisce coperte di pile che
vengono usate non solo per scaldarsi ma anche per dividere in
scomparti l'interno delle tende e in alcuni casi cucite per farne
vestiti invernali. Il pile però non è un buon isolante dal terreno
e i sottili materassi di gommapiuma forniti nemmeno: così, alcune
donne pettinano lana per farne materassi (vedi foto) che possano
isolare dal pavimento freddo durante l'inverno che sta arrivando, e
che mi dicono che da queste parti porta anche la neve. Nei dintorni
del campo ci sono piccoli gruppi di capre, e una recinzione per le
galline “sono dei pochi profughi che sono riusciti a portarle con
loro da Shengal,” spiega Alan “ma dove vivevano ne avevano molte
molte di più.”
Hussein
viene da Derek, il paese vicino al campo Newroz, è Iazida originario
del Rojava. Spiega le attività portate avanti dal centro Dijla per
l'arte e la cultura all'interno del campo: si effettuano corsi di
musica, teatro, disegno, poesia, inglese, sport, danze tradizionali,
e su come prendersi cura di se dal punto di vista psicosociale. “ci
sono tra i 220 e i 300 bambine/i e ragazze/i che partecipano alle
lezioni. Il progetto è portato avanti con il finanziamento di Save
the Children, ma sono molto lenti nel mandarci il materiale e non è
sufficiente... come vedi i lavori per la costruzione dei servizi
sanitari (cioè una piccola stanza che dovrebbe ospitare un water –
che qui è sostanzialmente un buco nel terreno) sono ancora in
corso.” Altri insegnanti che lavorano qui mi spiegano che Save The
Children li paga per questo che è certamente un lavoro a tempo
pieno, e che lo “stipendio” consiste in 190 dollari al mese. È
da sottolineare che non tutti gli insegnanti sono Yazidi, e che
dall'altro lato molti tra di essi sono anche gli profughi che abitano
il campo. Quindi, mentre pochi metri più in la una tenda più grande
ospita le lezioni della scuola di curdo, qui lo scopo principale è
fornire supporto psicosociale ai ragazzi e alle ragazze “vogliamo
che queste e questi giovani passino dei momenti felici, per poter
dimenticare per un momento quello che hanno passato; e vogliamo
continuare a tramandare loro la cultura Yazida perché anche se si
trovano lontano da casa non si scordino delle loro origini. Con
questa gente che ha necessità di tutto – dal cibo a un tetto dove
dormire – noi creiamo vita dalla morte.”
Rokan,
al centro per la salute, spiega che è volontaria della mezzaluna
rossa curda, “questa mattina sono stati distribuiti i vaccini
contro e paralisi infantili, sono stati dati ai bambini e bambine con
età che va da un giorno a 6 anni. Qui non ci occupiamo solo di
distribuire medicine e cure mediche, ma anche pannolini, assorbenti,
latte in polvere per i neonati, e sacchi per le immondizie. Abbiamo
necessità di medicine contro le infezioni, contro il raffreddore,
antibiotici, analgesici, per i problemi digestivi e contro
l'ipertensione” spiega “la maggior parte di queste riesce ad
arrivare dall'Europa o da altri Paesi per vie non legali.” Infatti
il Rojava è sottoposto ad un embargo da parte delle forze o degli
Stati che lo circondano: non può commerciare attraverso la Turchia
(come si può facilmente immaginare, dato il supporto di quest'ultima
verso l'ISIS e la sua ostilità verso il popolo curdo), non può
ovviamente commerciare con il resto della Siria, e anche il confine
con la regione curda dell'Iraq è chiuso. Rosa spiega che anche a
causa di questo è prevista una crisi economica pesantissima nel
prossimo anno in tutto il Rojava, tale per cui sarà una sfida
importante garantire i servizi essenziali, quali per esempio la
scuola gratuita e la sanità, e che questa crisi si andrà a sommare
alla crisi psicosociale dovuta alla guerra e alle perdite della
resistenza curda.
Prima
di addormentarmi nella tenda di fianco alle sue sorelle, domando a
Nuri “senti, ma è vero che ci sono anche due donne Yazide che si
sono unite alle YPJ?” e lui risponde: “no, non due, molte di più.
Io spero che un giorno avremo anche noi una nostra unità armata
composta di donne.”
donna che prepara la lana per i materassi |
dopo il vaccino, ai bembini e alle bambine viene segnato il dito sinistro con un pennarello, per non ripetere la somministrazione |
Alcuni sono riusciti a portare le proprie capre da Shengal |
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