Appena
arrivata in Rojava ho avuto un incontro con la co-presidente, che mi
spiegava che qui il popolo sta cercando di costruire democrazia. Alla
parola democrazia un po' mi sono preoccupata. Le ho detto che anche
nei ostri paesi chiamano il sistema politico democrazia, e significa
che chi ha i soldi o la possibilità si fa un sacco di pubblicità o
propaganda, così la gente lo vota, e chi riceve più voti ha il
potere. Lei mi ha risposto che quella dei nostri Paesi non è un
sistema democratico, bensì un sistema capitalistico; e le due cose
non sono compatibili. Cominciavo a capire di non aver capito il
significato delle parole che usavano qui. Non era un problema di
traduzione, ma più profondo. Ho cominciato a capire qualche cosa di
più quando, una settimana dopo, in viaggio verso il campo Newroz, mi
sono fermata a dormire in uno studentato: si chiama “Academia”,
ed è il luogo dove, in gruppi di 20-30 ragazze e donne, le donne
ricevono un'istruzione intensiva di 15 giorni riguardo la storia del
Kurdistan e la storia delle donne, è una specie di studentato. Bene,
la mattina, quando mi sono svegliata, c'era la presidente che
preparava la colazione, prima di andare in ufficio. Cioè, la
presidente dormiva nello studentato (perché era vicino al suo
ufficio) e preparava la colazione per se, per me e per un'altra
ragazza. E questo era assolutamente normale.
Serecania,
ad esempio, è stata liberata dalle forze Ypj e Ypg, ed ora necessita
di essere ricostruita. Non solo ricostruita fisicamente, ma anche e
soprattutto socialmente. Non sono solo i buchi nei muri che vanno
riparati, ma c'è un intero tessuto sociale da ricostruire, e anche
per questo fioriscono associazioni e gruppi attivi in diverso modo.
La
fondazione delle donne libere sta cercando gli spazi per creare un
consultorio per donne. Ci sono alcune case che erano in precedenza
occupate da filo-isis, che sono scappati con lo stato islamico quando
si è ritirato, e tra esse se ne cerca una da mettere a posto per il
consultorio. Altri appartamenti piuttosto eleganti sono stati dati
alle famiglie di rifugiati, o a chi ne aveva bisogno: erano gli
appartamenti dei funzionari del governo siriano, “loro si
costruivano sempre case molto belle” spiega un ragazzo del posto.
Ora in queste case abitano rifugiati. “In questa città ci sono
quartieri in cui vivono arabi, quartieri abitati da curdi, e
quartieri misti. Ma la convivenza è pacifica, e insieme, ciascuno
con la sua lingua e le sue tradizioni, cerchiamo di ricostruire
questa città. Perché qui la gente ha voglia di andare avanti, di
ricominciare, di vivere.”
A
Sarecanya ci sono 4 ospedali, però, spiegano i medici presenti, a
causa dell'assedio e della guerra, mancano di molte attrezzature: per
esempio, si possono fare radiografie coni raggi X ma per CT ed RMI è
necessario andare fino a Qamislo (e sono quasi due ore di viaggio in
automobile); mancano anestetici, antibiotici, antistaminici,
strumenti per le operazioni chirurgiche, e materiale da laboratorio
“il vicino pspedale è stato saccheggiato dall'esercito libero
siriano, hanno portato via tutto adesso è un edificio vuoto”
racconta un medico. A Sarecanya ci sono stati 250 martiri, e
un'associazione si preoccupa di assisterne le famiglie sia dal punto
di vista psicologico che economico. Quando mi mostrano le foto, mi
spiegano che molti di loro erano padri di famiglia, con due, tre,
cinque, sette figli, e che quindi la società non può abbandonare le
loro famiglie. All'associazione per la risoluzione dei conflitti
familiari si può recare una donna con suo marito o con colui con cui
ha problemi: la funzione è quella di parlare e risolvere i problemi
senza dover ricorrere al giudice. Nella casa dove i combattenti delle
YPG feriti c'è anche una donna “hanno ammazzato mio figlio al
fronte. Ora tutti i combattenti sono figli miei” spiega. Ci sono
pochi ragazzi in questa casa, dai 19 ai 22 anni, e raccontano di
essere stati colpiti da proiettili o da autobombe, raccontano di aver
visto morire i loro compagni. Domando della situazione al fronte,
spiegano che si sta cercando di aprire questa strada verso Kobane,
che ci sono 180 km di distanza e che per ora se ne sono liberati 40,
ma è un lavoro lungo... “Ci sono alcune cose importanti, però,
che voglio tu sappia” spiega Mohammed “qui, all'interno delle
YPG, non facciamo differenze tra curdi, arabi, o persone di altre
etnie: io sono ceceno per esempio, e combatto alla pari degli altri.
Anche i nostri comandanti non sono diversi da noi, siamo tutti amici,
non abbiamo trattamenti diversi per chi è responsabile di una
milizia. Ora non è ancora completamente scuro, ma nel futuro questa
terra sarà sicura e libera anche grazie al sacrificio delle YPG: e
per questo, si sappia, abbiamo le porte aperte per tutti coloro che
nel mondo vogliono combattere per l'umanità, se vogliono unirsi a
noi.”
Taha,
membro del parlamento, mi ha spiegato qualcosa su come vengono prese
le decisioni qui, a livello di cantone. C'è un consiglio (mejlis),
che al momento è formato da rappresentanti di tutti i gruppi etnici,
maschi e femmine. Ciascun gruppo etnico si riunisce in piccoli
comitati, che poi mandano un rappresentante in comitati più grossi,
e via dicendo fino ad arrivare al consiglio. Il consiglio ha redatto
la carta del Rojava, e il prossimo consiglio sarà scelto per
elezioni. Ciascuna minoranza avrà una percentuale minima fissata
all'interno del consiglio, almeno il 10% va a coloro che hanno
ricavuto più voti all'interno del movimento degli arabi, il 10% per
il movimento dei curdi, il 10% per il movimento dei siriaci
(minoranze cristiane), il 20% per i movimenti dei giovani, il 30% per
i movimenti delle donne, e in totale almeno il 40% per ciascun genere
(femmine e maschi). La cosa importante è che con questo sistema
nessun gruppo avrà mai la maggioranza: c'è solo un 20% disponibile
per candidati “liberi”, non legati ad alcun movimento
pre-esistente, il resto rappresenta e discute ciò che fa in
parlamento con gruppi presenti nella società che gli sono affini.
Quando viene fatta una proposta di legge, infatti, i membri della
mejlis la ricevono in anticipo e la discutono con il proprio gruppo
di appartenenza. Il consiglio ha un presidente ed una co-presidente,
un uomo e una donna, eletti separatamente, dagli uomini e dalle
donne: per esempio in questo momento l'uomo è di una fazione più
conservatrice mentre la donna è una femminista convinta: all'inizio
l'uomo -tra lo scherzo e il serio- diceva di avere dei problemi a
lavorare con lei, ma dopo qualche mese si dice soddisfatto. I piccoli
gruppi che stanno alla base, poi, propongono soggetti di discussione
o proposte di leggi per il consiglio. Kamal spiega poi che
all'interno del parlamento, composto da 101 persone, c'è un
presidente e due co-presidenti, provenienti da diversi gruppi etnici,
e tra i tre deve esserci almeno una donna, e 22 ministri, anch'essi
di entrambi i generi e di tutte le etnie, mentre i portavoce sono
due, ancora una volta un uomo e una donna.
Altre
differenze importanti rispetto al nostro sistema si riscontrano poi
nell'amministrare la giustizia. Il primo passo, quando ci sono delle
controversie, è quello di ricorrere ai comitati per la
riconciliazione, che cercano una soluzione che vada bene e soddisfi
entrambe le parti. Se il comitato di riconciliazione non porta ad un
accordo che soddisfi le parti, si ricorre al tribunale “ma
cerchiamo di ricorrere il meno possibile al tribunale, perché esso
sancisce una colpevolezza o meno, e sappiamo bene che nessuno è mai
colpevole o innocente al 100%” spiega Lorin, avvocato generale al
tribunale di Qamislo “Le leggi costringono la mente restringono la
libertà degli esseri umani. Siamo tutte e tutti diversi, non si
possono giudicare allo stesso modo due persone che hanno commesso lo
stesso crimine: l'acqua che scorre nel fiume non è sempre la stessa!
Per esempio, se un ragazzo senza genitori viene sorpreso a rubare,
non ci si può vendicare su di lui mettendolo in carcere: gli si deve
dare un'istruzione, inserirlo in un ambiente pulito e adatto a lui”
Lorin poi spiega il funzionamento delle corti qui a Qamislo: “Le
nostre leggi sono piuttosto vaghe, giudichiamo molto in base al
buonsenso. Ci sono alcune linee invalicabili, per esempio per omicidi
d'onore la pena minima è 10 anni, per il traffico di donne è 3
anni, e devono essere punite anche le violenze sessuali e i crimini
di tradimento. Ogni caso è valutato da tre giudici, di cui almeno
una deve essere una donna (fino a che non si trova anche la donna il
processo non ha luogo): le persone che assumono questo ruolo devono
essere accettate dalla società ed avere una buona reputazione nella
loro comunità, devono essere approvate sia dal consiglio della loro
municipalità che passare diversi test instaurati da enti
indipendenti. Il nostro obiettivo è comunque quello di non avere
tribunali, solo comitati di riconciliazione che possano mettere
d'accordo le parti in causa soddisfacendo tutti. Per quanto riguarda
gli avvocati, c'è certamente la possibilità di avere un avvocato,
ma non li vediamo di buon occhio per due ragioni: pensiamo sia
anti-etico difendere qualcuno che sappiamo essere colpevole, e
soprattutto se ci affidiamo agli avvocati succede che chi ha più
soldi può permettersi un buon avvocato e chi è povero non se lo può
permettere, e questo crea differenze all'interno della società.”
Lorin racconta anche delle difficoltà incontrate: “certo, è
difficile per molti cambiare mentalità. Alcuni sono ancora abituati
a vedere le leggi come qualche cosa di fissato, uguale per tutti
indipendentemente dalle origini o dalla provenienza sociale. Però,
una volta accettato il cambiamento, è difficile tornare indietro.
Tieni conto anche che qui siamo comunque in una situazione di guerra,
e non è facile instaurare un sistema rivoluzionario in un contesto
del genere.”
Nelle
prigioni, comunque, viene spiegato dal responsabile di una prigione
di Qamislo, i detenuti hanno una televisione, la possibilità di
leggere, tre pasti al giorno, possono telefonare da un telefono
comune, hanno la possibilità di ricevere visite familiari una volta
alla settimana, non esiste l'isolamento, e c'è la possibilità di
praticare sport per un'ora al mattino ed una alla sera. “sono stato
anche io in carcere, e sono passato attraverso l'isolamento. Non
voglio ripetere queste torture verso qualcun altro” spiega. In
effetti, entrando nella cella ho potuto vedere che è presente
riscaldamento, televisione, e i detenuti confermano che non ci sono
problemi a vedere le famiglie e quanto detto dal responsabile del
carcere; nonostante questo si lamentavano della lunghezza dei
processi, e del fatto che non fossero fissate le date delle udienze:
è possibile a mio giudizio che questo sia dovuto alla difficoltà di
trovare giudici, soprattutto donne.
Io
continuo a non capire perché tutto questo venga chiamato
democrazia... secondo il mio linguaggio, democrazia è quella
dell'occidente che sgancia le bombe, è quella secondo cui il capo di
uno Stato è anche l'uomo più ricco e che possiede più mezzi di
comunicazione, democrazia è quella che caccia in mare i migranti
perché non sono parte della maggioranza bianca, democrazia non è
una pratica che porti gioia agli esseri umani, e continuo a domandare
perché qui usino questa parola per descrivere una cosa completamente
diversa. Secondo Rosa, una compagna trovata qui, siamo noi in
occidente che abbiamo svuotato le parole di senso. Abbiamo instaurato
un sistema capitalistico e lo abbiamo chiamato democrazia. Democrazia
significa che il popolo ha il potere, e qui la rivoluzione del Rojava
sta facendo tutto il possibile perché il popolo abbia il potere.
Hanno scelto di chiamarla democrazia perché è una parola che
significa che il popolo ha il potere. Sebbene sia stata svuotata di
significato fin dal tempo dei greci (ad Atene era di fatto un'elite
maschile che governava, e continuiamo a chiamare quella cosa
“democrazia”) ora si tratta di ricostruirne il significato in
maniera completa. Quello che vogliono qui è democrazia, nel senso
che vogliono il potere del popolo, ma assolutamente non nel senso che
vogliono il sistema capitalista (che da questo punto di vista non è
compatibile con la democrazia).
Se
io non capisco come usino certe parole qui, però, anche qui non
capiscono perché in occidente usiamo quelle stesse parole. Roqan mi
domanda perché i nostri paesi parlano di diritti umani e democrazia,
e poi finanziano e creano cose come l'ISIS, che distrugge vite umane
taglia le teste della gente e droga i suoi combattenti prima di
mandarli ad uccidere.
p.s.: due cose: nonostante consideri il confederalismo democratico molto meglio delle nostre dmocrazie, personalmente, l'idea di esprimere con un voto la preferenza per qualcuno che comunque decide al posto mio ancora non mi esalta; perfortuna che la maggior parte dlele decisioni si cerca di prenderle a livello di quartiere con i vicini di casa. Eppoi, volevo consigliare un articolo che ho letto e che da una lettura politica molto più articolata che queste mie poche testimonianze e impressioni raccolte insieme: lo trovate qui: http://www.uikionlus.com/kurdistan-nellocchio-del-ciclone-2/
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