Arrivando
qui, all'inizio, pensavo di trovarmi di fronte ad una lotta di
liberazione simile a quella palestinese. Non fraintendetemi, continuo
ad essere radicalmente antisionista, ma quello che vedo e che respiro
qui una cosa molto diversa. Non è esclusivamente la lotta di
liberazione dei curdi per la propria terra, l'idea non è quella di
cacciare i turchi dal Bakur (Kurdistan turco), o quella di cacciare
gli arabi dal Rojava (Kurdistan siriano). Questa lotta è per la
liberazione dal Potere, in particolare per la liberazione dal potere
statale. Per la liberazione dal potere di qualsiasi Stato, senza la
creazione di uno Stato differente. Questa lotta non è solo la lotta
dei curdi, non si tratta di difendere un'unica etnia dalla supremazia
di altre. Questa lotta è per far si che ciascuno possa esprimere se'
stesso e se' stessa nelle specificità etniche, di genere, o di
qualsiasi altro tipo in maniera libera. Tutti i luoghi in cui si
prendono decisioni riguardo la vita della società sono strutturati
in modo da contenere al proprio interno componenti di tutte le etnie
e generi; e non solo questi, anche le unità di difesa armata
contengono al loro interno cristiani siriaci, arabi, ceceni,
eccetera, oltre che curdi. Questa lotta è rivolta principalmente
contro il capitalismo e le catene che esso impone all'essere umano.
Contro le catene economiche del capitalismo, che impongono il lavoro
salariato come unico modo di sopravvivere (chi lavora per questa
rivoluzione lo fa su su base volontaria), ma anche contro le catene
implicitamente imposte dal capitalismo ai rapporti umani tra
individui, perché capita a volte che ci dimentichiamo che la
rivoluzione è innanzitutto un processo di trasformazione umana: se
non siamo in grado di liberarci dalle nostre catene, non potremo
essere in grado di aiutare altri a liberarsi dalle loro. Da ciascuno
secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. Prima
di tutto dobbiamo combattere le categorizzazioni presenti all'interno
della nostra testa, le gerarchie che il capitalismo ha imposto nel
nostro pensiero, il porre una persona acculturata al di sopra di una
che non ha avuto la possibilità di studiare, di porre l'uomo al di
sopra della donna, o l'essere umano al di sopra degli animali e della
natura.
Vorrei
provare a spiegare ancora una volta. In un post
passato ho riportato le voci e le iniziative di diversi gruppi, di
come sia in corso la costruzione di una società diversa. Ogni volta
che provo a spiegare non trovo le parole. In qualche modo mi sembra
di descrivere il dito che punta alla luna, e non perché non intuisca
che c'è la luna, ma perché è difficile da spiegare con le parole,
la luna.
Le
donne, qui, in molti casi, hanno movimenti ed organismi separati. C'è
la casa delle donne, per esempio, dove una donna si può recare per
risolvere problemi interni alla famiglia, e a cui certe volte si
rivolgono anche gli uomini. Questo non accade perché le donne odino
gli uomini: non sono in lotta con gli organismi in cui sono presenti
uomini. Questo non accade nemmeno perché donne e uomini debbano
rimanere separati per tradizione: in molti casi le attività sono
assieme. Le donne hanno attività ed organismi separati non solo per
liberarsi dalla dominazione
maschile all'interno della società, ma anche e soprattutto per una
liberazione psicologica e mentale dalla presenza di maschi. Che anche
gli uomini imparino ad arrangiarsi, senza bisogno di una donna che si
prenda cura di loro!
In
più, nella lotta contro ogni forma di potere, viene giustamente
identificata la supremazia dell'uomo sulla donna come una delle prime
forme di supremazia che poi ha dato seguito alle altre, incarnate
principalmente dall'istituzione statale e dal potere che esercita
sugli individui. La lotta contro il sistema patriarcale è un aspetto
della lotta contro il potere statale. D'altronde, se per millenni
l'essere umano ha vissuto senza essere incatenato da forme di potere,
che poi si sono declinate nelle prime forme statali supportate da
credenze religiose come nel caso dell'impero assiro, è certamente
ancora possibile tornare a quella forma di società. Una rivoluzione
(şoreşa)
del pensiero e della pratica è quindi possibile e necessaria.
Si
tratta di agire, attraverso l'autogestione, in quella zona franca in
cui lo Stato non arriva, e di permettere agli individui, ai gruppi,
alle comunità di sopperire ai propri bisogni in maniera
auto-organizzata. Non si tratta però solo di creare qualcosa di
diverso ma anche di difenderlo. Perché, appare piuttosto ovvio, nel
momento in cui si mettono in pratica modi di vita diversi, quando si
forma davvero una zona franca dai tentacoli del capitalismo e degli
Stati, si tratta di un pericolo concreto per il Pensiero Unico
dominante, perché l'esistenza stessa di un modello diverso,
anticapitalista e fuori dagli Stati, mette in crisi ciò che i media
e l'educazione ricevuta ci ha sempre mostrato come unico modello
possibile. Quindi, secondo la logica imperialista, ciò che qui si
sta praticando va eliminato prima che possa espandere i propri semi
ovunque. Gli attacchi, per come la vedo io, sono su due fianchi: dal
lato militare e dal lato politico. Per quanto riguarda gli attacchi
militari, non si tratta solo dell'ISIS: in un recente comunicato
delle YPG si spiega chiaramente come essi siano stati portati avanti
anche dal cosiddetto esercito libero siriano, da altre bande
terroristiche, da al-Nusra e dalle forze del regime di Assad. Le le
forze statali siriane (che comunque per lungo tempo hanno forzato i
curdi all'emigrazione dal Rojava mantenendo la zona a un livello di
sviluppo più basso e che hanno raramente concesso carte d'identità
alla popolazione curda) non vedevano ovviamente di buon occhio una
forma di organizzazione democratica non-statale, le forze reazionarie
terroristiche non sopportavano l'idea di una società libera,
l'occidente che finanzia l'ISIS e le bande cosiddette “ribelli”
non vuole la diffusione delle pratiche anticapitalistiche presenti
nel Rojava, e in particolare la Turchia ha il terrore che si
diffondano anche nei suoi territori. L'altro tipo di attacco è un
attacco mediatico e propagandistico: per esempio, dopo che gli Stati
Uniti hanno collaborato alla creazione dell'ISIS, dopo che lo hanno
spinto ad attaccare il nord della Siria, nel momento in cui
l'attenzione mediatica si è puntata sulla storica resistenza del
popolo di Kobane, ha iniziato a dare un appoggio (del tutto simbolico
e parziale, se paragonato alla potenza che potrebbero mettere in
campo) a questa resistenza: lo scopo di queste azioni è dal mio
punto di vista propagandistico in due modi, non solo perché da
l'impressione che l'occidente sia attivamente impegnato nella guerra
contro il terrorismo che invece ha creato e foraggiato, ma anche
perché fa apparire il popolo curdo alleato degli stessi Stati
occidentali che hanno creato il mostro che in queste terre si sta
combattendo. E noto con disappunto che, talvolta, anche alcuni
compagni cadono vittime di questo secondo tipo di propaganda.
Dicevo
che un aspetto fondamentale è la difesa, che viene comunque portata
avanti sia da uomini che da donne, uniti nel campo di battaglia, per
le ragioni già spiegate prima. Difesa in cui chi combatte assume il
nome di un precedente martire, per fare si che continui a vivere nei
gesti di qualcun altr*; difesa in cui la formazione non è
esclusivamente militare, ma soprattutto politica ed umana. Nella
formazione si impara l'ascolto e l'apprezzamento delle diversità, si
impara a non scoraggiarsi e mantenere alto il morale, si impara
l'autocritica e la critica costruttiva.
La
difesa, poi, non viene portata avanti solo dalle unità di difesa del
popolo e delle donne (YPG-YPJ) ma anche dalla popolazione locale: una
delle ragioni per cui Kobane non è caduta e adesso i terroristi
dell'ISIS stanno arretrando, è che tutto il popolo era in grado di
difendersi, quasi chiunque era in grado di maneggiare un'arma. A
Şhingal, quando le YPG,
YPJ, HPG, YJA-star sono arrivate, una delle prime cose che hanno
fatto è stata addestrare la popolazione locale perché apprendesse
come difendersi in autonomia, fondando così le unità di difesa di
Şingal (YBŞ).
E
vorrei dire a coloro che, dal calduccio delle proprie biblioteche,
arrivano ad accusare questo movimento di non essere sufficientemente
aderente al loro dogmatismo, che venissero a vivere la differenza tra
i loro dogmi e la pratica. Perché, per come l'ho percepita, la
differenza principale tra le parole che continuiamo a sputarci
addosso tra attivisti in Italia e quello che accade qui, è che qui,
qualsiasi parola deve avere una pratica di conseguenza. Quello che ho
vissuto nell'attivismo nel mio Paese, troppe volte, è che si passa
il tempo a dire parole, a scrivere parole, a litigare sulle parole.
Ma permettetemi di dire che ciascuna parola, se non è associata ad
una pratica, perde il significato: diventa motivo di divisione, e non
porta alla rivoluzione. Il fatto che le parole siano seguite da
un'azione da concretezza al loro significato, esattamente l'opposto
della travisazione strumentale delle parole imposta da parte
occidente: basti pensare alla parola democrazia, che letteralmente
significa potere al popolo, a come viene utilizzata per descrivere
sistemi in cui il potere resta nelle mani di pochi. Non occorrono
parole complicate per dire le cose fondamentali, però è necessario
ridare alle parole il loro significato vero.
Siamo
talmente abituati a vedere fango attorno a noi che certe volte non
riusciamo a riconoscere ciò che fango non è, come i fiori, che
nonostante esso crescono. Però fa bene ai polmoni aspirare il
profumo dei fiori che dal fango sono in grado di crescere, i loro
colori fanno bene agli occhi, il tessuto dei petali fa bene al tatto,
la loro presenza fa bene al cuore, e i loro semi sono necessari.
Lottando
in vista della primavera, quando finirà l'inverno, il fango nero si
ritirerà, e milioni di boccioli diversi fioriranno.
C'mon Palestine will be Free
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