Ogni lunedì, attivisti e
parenti dei prigionieri politici nelle carceri israeliane, si trovano
per un sit-in di solidarietà all'interno del cortile della croce
rossa di Gaza. La perseveranza di queste donne e uomini, che si
incontrano qui da diversi anni ogni settimana, è ammirevole; però
questo lunedì è animato da una speciale speranza.
Umm Rami sventola una
piccola bandiera palestinese e tiene in mano un cartello con la foto
di un adolescente. L'adolescente è Rami, suo figlio, prelevato dalle
forze di occupazione sioniste 20 anni fa, quando lui aveva 15 anni e
mezzo, e prima degli accordi di Oslo. Da dopo lo scambio di
prigionieri con Shalid ha potuto visitarlo in carcere quattro volte,
mentre prima, per dodici anni, le è stato proibito di vederlo. “Era
un bambino, non avrebbero dovuto darli tutti questi anni, il giudice
è stato ingiusto! Ho avuto altri 3 figli dopo il suo arresto,
nessuno di loro lo ha potuto conoscere di persona. Anche mia figlia
si è sposata, ha avuto dei figli, e nemmeno loro hanno mai
conosciuto lo zio.” Secondo il racconto della madre, Rami è stato
arrestato per strada, vicino alla colonia illegale di Kfar Darom: due
jeep militari hanno fermato l'auto dove si trovava, l'hanno preso,
gli hanno legato i polsi, l'hanno bendato e portato dentro alla
colonia. L'hanno condannato all'ergastolo con l'accusa di aver
accoltellato un soldato delle forze di occupazione sioniste. Le
stesse forze di occupazione hanno ammazzato due suoi fratelli, due
altri figli di Umm Rami, ma a nessuno è stato dato l'ergastolo per
questo.
Dicevo, però, che questo
lunedì si respira un'aria di speranza.
Umm Rami è infatti
fiduciosa che suo figlio venga liberato tra una settimana, con il
terzo gruppo di prigionieri politici palestinesi che Israele ha
accettato di rilasciare; anche se probabilmente l'unica ragione per
cui vengono liberati è quella di stendere una cortina di fumo
sull'ampliamento delle colonie e sul fatto che secondo altri accordi
sarebbero dovuti essere liberati diversi anni prima, per umm Rami è
una buona notizia. Racconta: “quando sono stati liberati gli altri
due gruppi di prigionieri, entrambe le volte, qualche giorno prima i
vicini mi avevano detto che mio figlio era nella lista. Quando la
notizia si è rivelata essere falsa, sono svenuta dal dispiacere...
però sono andata lo stesso ad Erez per accogliere i prigionieri
liberati, per portare a loro e alle loro famiglie solidarietà.”
Umm Rami è infatti una donna attiva nella campagna per la
liberazione dei prigionieri politici palestinesi, ha partecipato a
visite di solidarietà alle famiglie dei detenuti, era presente a
incontri dell'ONU per difendere la causa dei prigionieri politici, ed
è in contatto per questa causa anche con centri per i diritti umani.
Anche umm Dia'a spera che
suo figlio Dia'a venga liberato col prossimo gruppo di prigionieri,
non sa se sia nella lista, ma, dice, è stato arrestato prima di
molti che sono già stati liberati e quindi dovrebbe essere
nell'elenco. “Mio figlio si stava nascondendo a casa di sua
sorella, ma una spia lo ha detto alle forze di occupazione, così
hanno circondato la casa, l'hanno perquisita, l'hanno trovato e prima
di portarlo via hanno picchiato la famiglia di mia figlia perché lo
stavano nascondendo.” Dia'a, quando è stato arrestato, 22 anni fa,
aveva 16 anni e 4 mesi. È stato condannato all'ergastolo, e per
sette anni, prima dello scambio con Shalid, sua madre non ha potuto
fargli visita. Dopo lo scambio, spiega che le è stato concesso di
visitarlo solo tre volte. “nel frattempo sono diventata nonna di 45
nipoti: nessuno di loro ha mai potuto vedere lo zio.”
Secondo gli accordi,
l'entità sionista dovrebbe liberare 104 prigionieri, arrestati prima
degli accordi di Oslo. I primi due gruppi sono stati rilasciati il 13
agosto e il 30 ottobre. Non si sa se la fiducia di queste due donne
sia una vana illusione o se davvero le loro speranze si avvereranno,
quello che è certo è che, mentre questi pochi prigionieri vengono
liberati altre decine vengono arrestati, altri 4996 restano in
carcere.
Tutti i prigionieri
palestinesi nelle carceri israeliane sono prigionieri politici,
perché sono “colpevoli” di crimini contro l'occupazione e non di
crimini comuni.
Il fatto che siano stati
portati dalla striscia di Gaza o dalla Cisgiordania all'interno dei
territori occupati nel '48 va contro la quarta convenzione di
Ginevra, secondo cui la potenza occupante non può prelevare persone
dal territorio occupato.
145 prigionieri politici
palestinesi si trovano nelle carceri israeliane in detenzione
amministrativa, e cioè senza che venga loro notificata alcuna
accusa. La detenzione amministrativa ha una durata di 6 mesi, ma è
rinnovabile per numerose volte.
All'interno delle carceri
israeliane viene quotidianamente praticata a tortura, vengono
arrestati minori, e troppo stesso vengono impedite le visite
familiari.
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