Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


sabato 15 maggio 2010

Al nakba - racconti

Oggi è il 15 Maggio, il giorno della nakba.

Vi riporto 2 racconti, il primo è tratto da Infopal, mentre l'altro da "la tenda beduina".

Hajj Hasan

A 62 anni fa risalgono i ricordi dell’ottuagenario Hasan Subhi Abu Rahma, rifugiato dal villaggio occupato di ‘Aqir. Aveva 18 anni e faceva il contadino, insieme alla sua famiglia formata da dodici persone.

La sua famiglia possedeva un terreno di 14 dunum [1 dunum palestinese equivale a 900 mq, ndr] che anche Hajj Hasan coltivava. Esso dava i frutti necessari per vivere, ma tutto venne interrotto dalla fuga provocata dagli usurpatori israeliani.

“Era una terra generosa e benedetta. Dava il grano, il mais, il miele, il laban e i migliori formaggi della Palestina fatti con latte di pecora. Inoltre, il nostro villaggio era famoso per la fabbricazione di tappeti, la cui lana era tratta sempre dalle nostre pecore”.

Di quella notte funesta, che lo strappò dalla sua casa e dalla sua terra, Hasan racconta: “Alle cinque del mattino, le bande sioniste dell’Haganà (formazioni militari ben armate e ben addestrate) si raggrupparono ai limiti della cittadina, e in poco tempo piombarono sul villaggio cominciando ad uccidere e distruggere”.

Prosegue Hasan: “Gli uomini e i giovani del villaggio, insomma, chi poté, scappò… ma chi non ce la fece, come gli anziani, i bambini ed alcune donne, finì prigioniero per mano delle bande dell’Haganà: tutti radunati nella moschea del villaggio. A quel punto gettarono delle bombe nella moschea e spararono uccidendo tutti quelli che vi avevano messo dentro. Non vidi nessuno uscire dalla moschea: li avevano ammazzati tutti”.

Hajj Hasan riprende a raccontare sospirando: “Dopo di ciò, grazie al Cielo [al-Hamdu li-Llàh: lett. “La Lode spetta a Iddio”, ndr], io e la mia famiglia siamo riusciti ad uscire dalla cittadina, mentre quelle bande tiravano le bombe sulla moschea per uccidere i palestinesi che vi avevano rinchiuso. Così continuammo a camminare fino ad al-Migdal, alla frontiera settentrionale della Striscia di Gaza. Lì rimanemmo solo due giorni, ma quando sentimmo le notizie sulle bande sioniste che stavano avvicinandosi scappammo verso la Striscia di Gaza, dove ci sistemammo nel campo profughi di an-Nuseyrat, nella parte centrale della Striscia”.

Con voce ferma, Hajj Hasan chiede ad uno dei suoi nipoti che sono intorno a lui ad ascoltare i suoi ricordi dolorosi di portare il certificato di proprietà della sua terra e la chiave della casa, diventata un simbolo dei loro diritti sulla terra da cui sono stati cacciati.

Con mani tremanti, Hajj Hasan apre i fogli che riguardano la sua terra, così vediamo i suoi dati personali e le informazioni che dimostrano che i suoi diritti: “Quanto mi auguro di tornare in quella terra… lavorarvi, mangiare dei suoi frutti ed esalare l’ultimo respiro là”.

E conclude: “Se non riuscirò a tornare, questi miei nipoti hanno preso l’impegno di completare l’opera e di non barattare la loro terra con tutto l’oro del mondo, perché presto o tardi si vedrà chi ha ragione e gli stranieri e i ladri saranno cacciati dalla nostra terra”.


Umm Tawfik

Rafka Darwish, Umm Tawfik, nonna palestinese di 105 anni, ricorda bene la nakba ma soprattutto la vita palestinese prima del 1948 e l’ottima convivenza con cristiani ed ebrei della Palestina.
Umm Tawfik è una rifugiata, nata nel 1903 nella cittadina palestinese del Majdal (Ashkalon). Ha 5 figli e un centinaio tra nipoti e bisnipoti. Tre dei suoi figli sono morti a Gaza ma lei ancora sogna di tornare a casa.

Racconta la semplicità del suo quartiere del Majdal prima del 1948. “la nostra vita era tranquilla prima della nakba quando gli ebrei occuparono le nostre case…eravamo il paese più grande della zona, lavoravano quasi tutti nel commercio e nell’artigianato, non ci mancava niente, eravamo semplici ma non conoscevamo la povertà”.

Nonostante la semplicità e la poca istruzione, dato che c’erano solo scuole elementari e per proseguire gli studi superiori bisognava andare fino a Gerusalemme, era considerata una vera e propria vergogna la presenza di poveri nel paese. “I ricchi avevano l’obbligo di nutrire i poveri, eravamo autonomi in tutto, le olive e l’olio, il grano, il pollame, tutti lavoravano la propria terra, persino le piogge erano molto più frequenti all’epoca”.

Ricorda che prima di emigrare vivevano con famiglie palestinesi ebree, con le quali avevano ottimi legami. “Ricordo benissimo il nostro vicino Yitzhak, eravamo molto legati”, così come il legame era molto forte con le famiglie cristiane del paese.
Umm Tawfik e il marito possedevano 5 negozi e 120 dunum di terreni agricoli (12 ettari) oltre alla casa. Tuttora conserva i documenti e gli atti di proprietà e le chiavi di casa.

Il giorno della nakba lo ricorda così “Eravamo nel periodo di raccolta quando gli ebrei iniziarono a bombardare le nostre case di notte e al mattino aumentò seppellendo molti sotto le macerie, molti massacri vennero compiuti contro i villaggi palestinesi, specialmente intorno a Gerusalemme”.
“Tutto ciò ci terrorizzo, quindi decidemmo di allontanarci per qualche giorno, settimane al massimo, per tornare quando si sarebbe calmata la situazione, non ci portammo dietro nulla di prezioso, eravamo convinti di tornare”.
“Nessuno immaginava di ritrovarsi 60 anni dopo ancora lontano da casa, lasciarono tutto convinti di tornare, perfino la cucina la misi in ordine prima di uscire”.
“Il cammino verso Gaza fu tremendo, era dura e lunga e ci bombardavano in testa, c’erano vecchi e bambini e molti di loro non riuscivano a camminare e andavano portati in braccio”.

Umm Tawfik racconta il duro impatto con Gaza. “Arrivammo alla periferia di Gaza, era povera e piccola e con pochi abitanti”. “All’inizio ci ospitarono le famiglie di Gaza, ma con il passare del tempo iniziammo a prendere le camere in affitto, pagando somme modeste, alcuni si costruirono delle baracche o delle piccole case con legno e pietre, poi iniziò ad arrivare il sostegno di diverse organizzazioni internazionali, con cibo e tende, iniziarono anche ad organizzare le classi scolastiche nelle tende”. Ricorda che i campi profughi nacquero nei primi anni cinquanta con una camera per ogni quattro persone, poi arrivarono scuole ed ospedali.

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Oggi milioni di rifugiati palestinesi lottano per la restituzione delle loro terre, per il rispetto della risoluzione 194 dell'ONU, che sancisce il diritto al ritorno per i profughi palestinesi.
Un buon libro sulla Nakba si intitola "la pulizia etnica della palestina" ed è scritto da Ilan Pappe, uno storico israeliano.

Boicotta israele perchè ha compiuto una pulizia etnica in Palestina.

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